LA SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA

17 07 2015

Ho sempre pensato che, se spiego bene il mio pensiero, certi ovvi fraintendimenti non ci saranno, e nessuno prenderà sul serio certe apparenti “contraddizioni” in ciò che dico che in realtà sono solo frutto di lettura superficiale. E, al limite, ciò è vero; una volta che si sia capito tutto perfettamente anche le apparenti contraddizioni spariranno. Non è però vero all’atto pratico, specie se il fraintendimento affonda in concezioni filosofiche millenarie e ancor oggi molto vive …

Dunque sono passati due anni dall’apertura di questo blog, eppure l’unico post finora che abbia trattato specificamente l’apparente contraddizione fra il mio essere anti-omofobico e anti-antispecista insieme è uscito qualche giorno fa; e ora esce il secondo. Perché una contraddizione, seppur solo apparente, c’è, e va chiarita.

Difatti, vedrete che il più delle volte i filosofi o pseudofilosofi antispecisti sono pro-LGBT, e viceversa i filosofi o pseudofilosofi omofobi sono generalmente specisti. E nella mente di queste persone, l’associazione fra le due cose viene naturale e spontanea. Anche noi, a breve capiremo perché per loro è tale, e poi anche perché invece non lo è affatto per me e neanche, a ben vedere, nella testa del grosso della popolazione.

Intendiamo subito che in termini pratici la questione dei diritti LGBT non ha davvero niente a che vedere con questioni come il vegetarianesimo o la sperimentazione animale: a favore dei diritti LGBT e anche della sperimentazione animale: why not? Quasi tutti i miei conoscenti la pensano così. Omofobo e anche vegano: why not? Proprio l’altro giorno ho fatto un raccapricciante incontro con un’omofoba incancrenita che si dichiarava vegana. Le due cose possono tranquillamente andare insieme nella lotta politica e nella vita di tutti i giorni.

Per questo io ho fatto riferimento ai filosofi antispecisti, e ai filosofi omofobi, o per lo meno, quelli che si divertono ad atteggiarsi a tali. Perché parliamo di persone che hanno fatto la scelta, per una settimana o per la vita, per convenienza o per amore, di occuparsi principalmente dei problemi rigorosamente astratti della filosofia.

Prendiamo i problemi su cui si accaniscono gli antispecisti e gli omofobi: i primi mettono in discussione a vario titolo la netta linea di demarcazione uomo-animale, i secondi invece insistono su una categorizzazione estremamente, e aiutatemi a dire estremamente, rigida riguardo ai sessi: maschio-femmina.

Già ora dovremmo iniziare a cogliere qual è il fulcro del paragone che sto istituendo, ma facciamo qualche altra osservazione empirica prima di arrivarci. Gli attivisti a favore dei diritti LGBT (me escluso, ça va sans dire) spesso impostano il proprio discorso su una critica della rigida categorizzazione maschio-femmina, utilizzando come testa d’ariete contro di essa una serie di fenomeni reali nei quali questa categorizzazione viene sfidata e i tradizionali attributi di uomo e donna sono violati; ad esempio intersessuali, androgini, transgender, o anche solo donne “mascoline” e uomini “effeminati”. Ad essi gli omofobi rispondono generalmente con una severa riaffermazione della categorizzazione, che generalmente assume la forma dell’uso improprio dell’argomento della normalità. Gli antispecisti generalmente impostano il proprio discorso su una critica della rigida categorizzazione uomo-animale, utilizzando come testa d’ariete una serie di fenomeni reali nei quali questa categorizzazione viene sfidata e i tradizionali attributi di uomo e animale sono violati; ad esempio i famosi casi marginali. Ad essi gli umanisti rispondono generalmente riaffermando la differenza uomo-animale e la sua rilevanza al livello metafisico, spesso usando l’argomento dalla normalità in forma impropria (me escluso, ça va sans dire).

Dovremmo cominciare a vedere dove si va a parare, sbaglio?

Essenzialmente, omofobi e “specisti” si muovono nella direzione di affermare con forza e rigore l’esistenza di linee di demarcazione ontologiche che definiscono la realtà: maschio e femmina, con tutti i loro tradizionali attributi; uomo e animale, con tutti i loro tradizionali attributi.

Antispecisti e pro-LGBT (più che altro i queer theorist, a dire il vero) si muovono nella direzione opposta: il loro è un atteggiamento strutturalmente critico delle categorizzazione ideali.

Gli omofobi ripetono ossessivamente che maschile e femminile sono assoluti ontologici. Gli antispecisti negano continuamente qualsiasi valore effettivo alla demarcazione uomo-animale.

Ecco dunque la ragione dello scontro filosofico: gli omofobi sono realisti platonici, che danno una priorità assoluta alle idee nelle loro elaborazione, mentre gli antispecisti sono nominalisti di ferro, che si spingono indefinitamente oltre nella critica alla validità delle idee nel descrivere la realtà.

“Adaequatio rei et intellectus”; raggiungere l’identità fra il pensiero e la realtà, ecco lo scopo ultimo di questi filosofi, tutti. La differenza fondamentale fra antispecisti ed omofobi è che i primi vorrebbero modificare l’idea per adeguarla in maniera perfetta alla realtà, mentre i secondi vorrebbero modificare la realtà per adeguarla in maniera perfetta all’idea.

Lo scopo di entrambi è “alto”, anche se non molto utile. Ma il problema principale sono i mezzi, necessari, che essi sono disposti ad usare per raggiungere un tale altissimo scopo.

L’idea e la realtà non sono uguali. Non lo saranno mai. La realtà è mutevole e caotica, piena di sfumature, imprevisti, eccezioni e stranezza. Il pensiero è ordinato, rigido, definito, strutturato, e tende a preservarsi uguale a se stesso.

Non potranno mai essere uguali. L’intima natura dell’uno e dell’altro lo impedisce.

Non sorprende dunque se i filosofi dell’una e dell’altra fazione, all’estremo delle loro elucubrazioni, iniziano a sembrare completamente pazzi.

L’ossessione per le idee, portata alle sue estreme e naturali conseguenze, conduce a negazione della realtà. Gli omofobi per esempio insistono a pretendere che la realtà sia quella che sta nella loro idea: maschi e femmina, tutti cisgender, tutti eterosessuali, tutti stereotipati. Messi di fronte alla realtà che quest’idea rigidissima non si applica a quello che vediamo tutti i giorni, confrontati col fatto che esistono transgender, esistono intersessuali ed esistono omosessuali, essi li catalogano come “errori” e fanno finta di niente. Il che è follia pura se ci pensiamo un momento: stanno accusando la realtà di essere sbagliata rispetto alla loro idea. Stanno accusando la natura di aver commesso un errore, rispetto a loro che invece sanno come dovrebbe andare il mondo.

L’assurdo è abbastanza evidente.

E d’altro canto è chiaro a cosa conduce anche l’atteggiamento opposto, al collasso del pensiero. La distinzione fra uomo e animale non è perfetta (e quando mai ve ne sono in natura?), ma è sicuramente una delle più rigide che la biologia ci offra, visto che Homo sapiens è l’ultimo sopravvissuto del suo genere e il suo parente più prossimo (lo scimpanzé) dista milioni di anni di evoluzione da lui. Se si nega la legittimità del processo che consiste nel formalizzare una distinzione almeno verbale fra le due realtà, descrivendo le caratteristiche comuni fra gli umani che non sono normalmente presenti nell’animale, allora finirà che non potremmo neanche dire che una pera e una mela sono due cose diverse: sono entrambe dolci, sono entrambi frutti … e poi cos’è un frutto? Non è forse un fiore modificato? Allora come facciamo a dire che un fiore è un fiore e un frutto è un frutto?

Certo, se ci chiudiamo in camera, bendiamo gli occhi e tappiamo le orecchie ignorando così l’esistenza di qualsiasi cosa che non quadri con le nostre idee, abbiamo raggiunto l’identità perfetta di pensiero e realtà negando la realtà.

Certo, una volta che abbiamo smesso di usare qualunque categoria e qualunque idea e messo da parte qualunque pregiudizio, ovverosia abbiamo smesso di pensare e ci siamo ridotti a puro istinto, abbiamo raggiunto l’identità di pensiero e realtà negando il pensiero.

In entrambi i casi abbiamo vinto, abbiamo conquistato il nostro scopo … Ma il prezzo è stato un po’ altino. Ma che importa? Anche lo scopo era alto. E bisogna capire che il filosofo, che quasi sempre è anche un metafisico, ragiona in questo modo (o per lo meno, in questo modo ragionano i miei avversari): tutto gira intorno ad una SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA, che a sua volta esprime in qualche modo quella dualità di approccio che ho descritto.

Dunque tutti i dibattiti particolari, che so, le adozioni a coppie omosessuali, la sperimentazione animale, l’eutanasia infantile, l’allevamento intensivo … non sono questioni che per se stesse siano degne di attenzione. Esse sono manifestazioni particolari, occasionali, di una latente SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA concernente l’adeguazione perfetta fra l’ideale e il reale, che essa sola è degna di attenzione. Dunque se io stringo un contratto di convivenza con un uomo invece che con una donna (perché il matrimonio è soltanto questo all’atto pratico: un contratto di convivenza e supporto reciproco), in realtà io sto affrontando la SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA della distinzione dei sessi! Cavolo, sono più potente d quanto pensassi, con una firma su un pezzo di carta io metto in discussione la natura stessa dell’uomo! Sono un Dio, cazzo! D’altro canto se faccio il dispetto di nascondere della carne nel piatto di un vegetariano non sto facendo solo uno scherzo deficiente, come pensavo, bensì sto affermando la mia posizione sulla SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA della demarcazione uomo-animale. Questo se sono fortunato, perché c’è caso addirittura che io stia dicendo la mia sulla SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA dell’esistenza della violenza e dell’oppressione, che rende quindi sciocca e vacua la molto-meno-suprema questione filosofico-antropologica della distinzione uomo-animale!

Suppongo che se mentre mi succhio un’ostrica mi ingoio un granello di sabbia quello sia un atto metaforico della mia scelta di campo all’interno della SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA del rapporto fra l’uomo e il suo pianeta; sono diventato Galactus il divoratore di mondi.

Alla luce di questa prospettiva si spiega faclmente l’atteggiamento che i miei avversari assumono immancabilmente verso di me. Se io dico ad una conferenza sulla sperimentazione animale che per me le questioni etiche in realtà sono questioni pratiche e politiche, ecco che “l’antispecista” avvocato Prisco (che sarà contento che finalmente sia riuscito ad imparare il suo nome) mi bacchetta:  “nonnonnò! Non puoi ridurre l’etica a una  volgare questione pratica, ad un semplice insieme di provvedimenti e decisioni provvisorie e circostanziali! È una cosa più ALTA, è una SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA!”  (non saranno state proprio quelle le parole, ma quello era il significato). E dato che non ci sarà modo e tempo di rispondere, non potrò mai obbiettare che se non è una questione politica, e non è pratica, né tanto meno è una semplice scelta personale, e nemmeno ovviamente è teologia perché siamo atei, ma è comunque una cosa più ALTA … Allora non mi è chiaro che cavolo è. Ma di che stiamo parlando davvero? Quando è che la SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA sarà giudicata abbastanza suprema da esser degna di discussione?[1]

Naturale che in questa ottica un po’ perversa necessariamente anche le questioni dell’omofobia e dell’antispecismo sussumono sotto uno stesso concetto universale, perché entrambe manifestazioni della SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA della distinzione categoriale che vede contrapposti Aristotele e Platone. Ed è dunque necessario individuare un metodo risolutorio di entrambe le questioni che risponda alla medesima formulazione della SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA.

Potrei benissimo dire che la questione dei matrimoni gay non ha nulla a che vedere con l’esistenza differenziata del maschile e del femminile, è semplicemente una scelta di convenienza sociale che renderebbe più piacevole vivere nella nostra società.

Potrei benissimo dire che la questione del vegetarianesimo ha a che fare semplicemente con un calcolo dei costi e benefici, personali e sociali, materiali ed emozionali, connessi al mangiar carne e al non mangiarla; e potrei dunque spingermi alla bestemmia suprema di affermare che fra me, che mi occupo di benessere animale ma non sono vegetariano, ed un vegetariano, non c’è nessuna suprema differenza filosofico-antropologica, ma solo una differenza nel grado e nel tipo di sensibilità rispetto alle questioni in esame.

Ma questo modo di ragionare è intollerabile per il “filosofo”. Per colui che ragiona da “filosofo” (che poi filosofo lo sia o meno è irrilevante) viene naturale come il respiro ricondurre il tutto ad un’unica suprema questione di somma astrazione. Un’astrazione tale che, se sottoposta ad uno scrutinio attento, si rivela vuota.

A ciò io contrappongo la mia modesta, e proprio per ciò blasfema, proposta: e se invece ci accontentassimo di qualcosa di meno della risoluzione perfetta della SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA? Se ci accontentassimo di ottenere un’uguaglianza approssimata fra pensiero e realtà, una somiglianza utile per i nostri scopi da adottarsi nei singoli casi specifici che dobbiamo affrontare?

Da quando mi occupo di biostatistica (non è un caso che questo sia diventato il mio mestiere: applicare perfette idee astratte ad una realtà mutevole e caotica …) non ho mai dimenticato la mia prima è più importante lezione: “un modello non è vero o falso, solo utile o meno utile”.

Quando descrivo i miei dati con un modello lineare sto solo dicendo che esso li descrive abbastanza bene da venire incontro a certi miei scopi.
Non sto dicendo che nella realtà le cose siano esattamente come le descrive quel modello; se volessi cambiare il modello per aderire perfettamente alla realtà avrei da lavorarci per millenni prima di poter inserirvi dentro tutte le (letteralmente) infinite variabili che lo determinano; se pretendessi invece che la realtà sia descritta perfettamente e senza alcun errore da quelle tre-quattro variabili che ho messo nel modello, farei un errore grosso come una casa, e non riuscirei mai a spiegarmi come mai quel farmaco che secondo il modello funzionava su qualche paziente invece non ha funzionato: “ah be’, la natura avrà sbagliato, mica io!”

Il mio modo di muovermi è strettamente pragmatico: cerco quella teoria che è al tempo stesso ragionevolmente “esatta”, perché contiene più informazioni possibile sulla realtà, e anche ragionevolmente “economica”, ovvero sia ancora di applicabilità abbastanza generale da essere di una qualche utilità pratica.

“Ma questa non è filosofia, è scienza!”

“Ma questa non è filosofia, è solo buon senso!”

Sapete che vi dico?

Avete perfettamente ragione!

Questo è il modo di procedere della scienza, che cerca di creare teorie che siano un compromesso fra la generalità e l’esattezza. E la scienza, come disse il saggio, “non è che buon senso accompagnato da solido ragionare”.

La scienza si sa accontentare del proprio essere approssimata. È la filosofia (o meglio, il resto della filosofia, visto che la scienza è una branca della filosofia) che non sa accontentarsi, è la filosofia che pretende che idea e realtà siano perfettamente identiche, ed è disposta a qualunque cosa pur di ottenere ciò.

Sono dunque consapevole che la mia posizione mi sistemi a margine dei dibattiti filosofici di cui sopra, per non dire fuori da essi. Ho notato in passato che gli antispecisti non mi rispondono mai, e neanche gli omofobi. La ragione principale per cui non lo fanno è sicuramente che non vogliono farmi pubblicità (perché non dimentichiamoci che ci sono battaglie politiche in corso qui, e quando c’è la politica in mezzo, la filosofia e l’amore per il confronto possono andare a farsi fottere, una lezione che ho imparato sulla mia pelle), ma è anche vero che non avrebbero nulla da rispondermi, perché io non entro nel “loro” dibattito filosofico. Piuttosto nego che il presupposto stesso di quel dibattito sia corretto, non mi interessa la loro SUPREMA QUESTIONE FILOSOFICO-ANTROPOLOGICA.

Quando mi capita di confrontarmi con questi soggetti in contesti in cui non possano svicolare agevolmente, mi trovo sempre in situazioni divertenti, perché mi scagliano addosso argomenti che non sono rivolti a me, ma “all’altra fazione”!

Gli omofobi mi accusano di voler cancellare la distinzione fra uomo e donna, quando io stesso ho criticato quel tipo di estremismo molto apertamente in passato; mi gettano addosso contro-argomenti per argomenti fondati sulla critica delle idee e che io non ho mai formulato o non in quella forma. Non è con me che se la prendono, il loro avversario predestinato non sono io.

E ovviamente non sono neanche l’avversario predestinato di un antispecista, come spiegavo qui. Io non ho mai affermato “il salto ontologico” fra uomo e animale, ad esempio; non ho mai neanche affermato l’impossibilità di concedere agli animali alcuni diritti, men che meno ho mai parlato di valore intrinseco dell’essere umano. Mi attaccano con argomenti che sembrano fatti apposta per rispondere ai metafisici cattolici, e probabilmente lo sono, ma che semplicemente non riguardano il sottoscritto.

La verità vera è che per chi è immerso fino alle orecchie in quel tipo di dibattito astratto ciò che dico è semplicemente non pertinente. Il loro è un dibattito filosofico in senso stretto, il mio è un discorso che in senso stretto è pratico-scientifico. Ovviamente, in senso lato anche il mio discorso è perfettamente filosofico, più filosofico del loro volendo, ma sicuramente più fisico che metafisico. Perché anche i filosofi che con più violenza si scagliano contro le “idee” sono comunque filosofi: idee sono le loro armi e idee è il loro pane, e di conseguenza rispetto ad uno scienziato resteranno sempre più “astratti” e più “metafisici”.

Dunque, non mi vedranno mai come un avversario filosofico, ma sempre e solo come un avversario politico. Il che, se vogliamo, è un riconoscimento di valore ben più grande. Penseranno che dal punto di vista filosofico io sia “contraddittorio” e non sapranno in che squadra mettermi.

E non verrà mai il giorno in cui capiranno che io non sono in nessun squadra perché non sto giocando al loro stesso gioco

Ossequi.

[1] In parentesi, dobbiamo notare anche che se davvero poi tu imposti il discorso come dicono loro, e cioè con una rincorsa all’astrazione sempre maggiore, ti accuseranno di aver “estremizzato il ragionamento in maniera illegittima”, un’accusa che ho ricevuto mille volte in risposta al mio video su youtube. Quindi devi essere più astratto di quanto non sei, ma comunque non più di quanto lo siano loro se no stai esagerando. Insomma devi fare esattamente come dicono loro per fare bene.





Il gene gay?

16 07 2015

 

La questione delle cause dell’omosessualità di per sé non è  eticamente rilevante: da un dato di fatto scientifico non si può derivare direttamente un valore etico, a meno di introdurre indipendentemente anche degli assiomi morali.

Ma è interessante vedere le capriole dialettiche degli omofobi a riguardo, per capire come (s)ragionano …

 

Si possono fare varie ipotesi su come sia determinato l’orientamento sessuale.

Si può pensare che l’orientamento sessuale, quale che sia, sia frutto di un’influenza genetica. Ma questo i vari Gandolfini e Adinolfi non lo possono sostenere, perché significherebbe ammettere che, sia l’orientamento eterosessuale o omosessuale, è comunque voluto dalla “Natura” (leggasi “Dio”).

Si può invece pensare che sia una costruzione sociale, ma neanche questo lo possono ammettere, perché questo è il GENDER!!!1!, e significherebbe sostenere che la genetica taccia completamente riguardo all’orientamento sessuale, facendo del nostro cervello una semplice tabula rasa a riguardo… E dunque, anche qui, la “Natura” (leggasi sempre “Dio”) consentirebbe tutti gli orientamenti sessuali.

Si potrebbe pensare anche che sia un misto di entrambe le cose (e infatti è quasi sicuramente così), ma ciò non cambierebbe molto la situazione: vorrebbe dire che i geni tracciano solo una parte dello sviluppo dell’orientamento sessuale, lasciando un margine di influenza ambientale. Il che significherebbe che la “Natura” (leggasi ancora “Dio”) ha comunque voluto permettere l’esistenza di tre orientamenti sessuali.

Sembra che gli omofobi siano un po’ a corto di alternative. In realtà, diciamola tutta, non ci sono vie d’uscita logiche per loro: se l’omosessualità esiste, la nostra biologia e la nostra evoluzione l’hanno consentita e la consentono.

Ma vi presento comunque la manovra evasiva con cui essi vorrebbero uscire dall’impasse: la genetica ci vuole eterosessuali, ma l’influenza sociale contro-natura (?) può renderci invece omosessuali (!?!)

La logica qui non sta di casa, e manco la biologia.

Se la genetica ci volesse tutti eterosessuali, saremmo tutti eterosessuali. Se la genetica ci vuole biondi, ci ottiene biondi; se la genetica ci vuole alti, ci ottiene alti; se la genetica è “indecisa” … ecco, solo allora l’ambiente può dire la sua. Quindi ammettere un’influenza ambientale vuol dire ammettere quanto meno che la genetica, ovvero la biologia, ovvero la “Natura” ovvero “Dio”, hanno preferito non pronunciarsi.

Ma possiamo anche dimostrare l’assurdità di questo discorso in termini esclusivamente biologici. Supponiamo che l’eterosessualità (ma non l’omosessualità, eh! Solo l’eterosessualità!) sia genetica. Ok, allora ipotizziamo, in un caso molto semplificato (ma il meccanismo non cambierebbe in casi più complessi), che nei maschi ci sia un “gene che fa amare le donne” che nelle donne non c’è, lo chiameremo il gene Hsexm. Questo gene produrrà una proteina, o un fattore regolativo di altro genere, che chiameremo HSEXM, che in qualche modo va ad agire nel nostro cervello (cingolato, nucleus accumbens etc.) e fa sentire attrazione per il seno … anzi, no, il seno non è organo riproduttivo quindi essere attratti dal seno è cosa perversa; diciamo dalla vagina. Ecco, nei maschi HSEXM è prodotto, per cui sono attratti dalla vagina, mentre nelle femmine non c’è e per questo sono attratte dal pene.

Ok, è concepibile.

Ma allora una qualsiasi mutazione nel gene Hsexm che impedisca la produzione di HSEXM mi renderà interessato al pene!

Dunque, se esistesse nei maschi un Hsexm che fa amare le donne, si presenterebbe sicuramente in popolazione una forma Hsexm1 mutata che invece farebbe amare gli uomini.

La genetica non dà scampo su questo punto: se esiste un gene x che ha un certo effetto X, allora si presenterà occasionalmente anche l’allele mutato x1 di quel gene, secondo il quale non si verificherà l’effetto X (a patto che x1 non sia letale, e non è il caso). Poiché nella nostra ipotesi abbiamo un gene che determina una preferenza esaustiva fra A e B, se ammettiamo che x faccia preferire A, x1 mi farà preferire B[1].

Come dicevo, in questo caso ho usato un esempio mooolto semplificato, ma se moltiplicassimo il numero di geni coinvolti e complicassimo enormemente le interazioni fra di essi, il discorso non cambierebbe di una virgola: se esiste un meccanismo genetico che ci vuole tutti eterosessuali, allora appena il meccanismo sia in qualche modo alterato, e inevitabilmente un certo numero di volte ciò accade, cesseremo di essere eterosessuali.

Insomma, io non lo so se esiste il “gene etero”, ma so una cosa per certo: se esiste il “gene etero” (o meglio, “l’allele etero“) allora esiste anche il “gene gay”, e viceversa, se esiste il “gene gay” esiste anche il “gene etero”.

Dunque sarebbe anche ora che gli omofobi vari si decidessero: ambiente, genetica, tutt’e due? Quale che sceglieranno, non sarà però “la causa dell’omosessualità”, bensì “il determinante dell’orientamento sessuale”, perché sicuramente potrà andare in almeno due direzioni diverse.

E in ogni caso, tanto, la scelta finale non farà differenza né per noi né per loro. Come ho sottolineato all’inizio, quale che sia la base biologica dell’omosessualità, il giudizio di valore non ne può dipendere.

Se scoprissimo che è interamente genetica, la chiamerebbero una malattia genetica.

Se scoprissimo che è interamente ambientale la chiamerebbero una devianza sociale.

Come vedete, quale che sia la causa, è sempre possibile dirne male, e infatti lo faranno sempre. Evidentemente in realtà non gli importa affatto di quale sia la causa … E allora, perché dovrebbe importare a noi?

Ossequi.

[1] È bene insistere su questo punto: l’attrazione sessuale di per sé è determinata dagli ormoni; noi stiamo parlando invece di un ipotetico meccanismo che regoli la preferenza. Un’attrazione non direzionata può essere presente o assente, ma una preferenza può essere solo per A, o per B, oppure per entrambi (bisessualità); dunque se non sarà per A sarà per B.





Questione di prospettiva

8 04 2015

Ogni mi ritrovo a rileggere gli scritti di questo o quell’antispecista. Ripenso alle conversazioni e ai dibattiti che ci ho avuto, e mi faccio sempre più persuaso di una fondamentale incomunicabilità filosofica con loro. Non sono sicuro che essi se ne rendano conto appieno, in effetti. Si potrebbe dire che i filosofi danno risposte diverse alle stesse domande, e dunque le risposte di alcuni possono essere migliore di quelle di altri. Ma non è il nostro caso … io credo che non condividiamo le stesse domande.

Le domande più tipiche che si pongono sono “come si giustifica la violenza?”, “perché esiste la violenza?”, “quali sono le basi della sopraffazione?”, “come combattiamo la sopraffazione?” Io queste domande non le capisco. Ci scrivono sopra interi libri nel tentativo di rispondervi, e onestamente non mi prendo più neanche il disturbo di leggerli. Un intero libro devoto a rispondere alla domanda “perché esiste la sopraffazione?”? Ma stiamo scherzando? E il prossimo libro su cosa lo facciamo, “che forma hanno i palloni?”?

Nel tipo di domande che interessano loro, e nel tipo di domande che interessano me, si vede qual è la ragione dell’incomunicabilità fra questi due mondi. E si vede anche la ragione per cui invece comunicano benissimo con tanti altri filosofi morali, anche “specisti”; rispondono alle stesse domande, seppur in modo diverso …

Ricapitoliamo: loro si chiedono perché c’è la sopraffazione, perché c’è la violenza, quali sono le strutture di potere che li determinano, le culture che li alimentano eccetera. Io non mi chiedo questo. Trovo banali domande di questo tipo, sopraffazione e violenza sono naturali come la gravità o la pioggia. Io mi faccio domande su come esistano l’altruismo, la collaborazione, la morale. Quelle sono le stranezze.

Partiamo un po’ da lontano: come nasce il primo essere vivente? Un cellula, o meglio una proto-cellula. Ma cosa caratterizza una proto cellula, che la rende diversa da tutto il materiale organico che era esistito sino ad allora? Una barriera. Il primo atto della vita è lo stabilimento di un confine fra sé e non-sé. E con quel confine nasce una differenza di trattamento, una discriminazione. La base è quella. Ora all’interno di questa barriera succede una cosa che nel resto dell’universo non succede: l’entropia diminuisce. Inevitabilmente, a spese di tutto ciò che sta fuori.

Questa è storia e scienza, è così che accade. Quindi la vita stessa nasce con un atto di autoaffermazione e di sopraffazione: la cellula diventa una fabbrica di entropia, che scarica i propri rifiuti all’esterno e se ne prende il meglio che può. La base della vita è sopraffazione.

Ovviamente la presa di coscienza di come sia fatta la “base” non pesa poi così tanto sulle considerazioni che faremo sul resto dell’edificio. Al primo, al secondo, o al quindicesimo piano, possono essere costruiti paradisi di altruismo e collaborazione (più o meno, con certi ovvi limiti diciamo). Ma rendiamoci conto da cosa siamo partiti: siamo partiti da un atto di sopraffazione, e quella sopraffazione resterà il pilastro centrale. È normale. Normale come la caduta dei gravi, normale come la pioggia.

Ora, se abbiamo cominciato così, con la sopraffazione indiscriminata del forte sul debole, com’è che adesso esiste, seppure entro confini ben precisi, la possibilità dell’altruismo? Com’è possibile che dalla violenza assoluta della vita siano nati principi di non violenza?

La risposta ormai la conosciamo, ma non è banale. Quando la nostra prima proto cellula incontra un’altra proto cellula, una delle due finisce divorata. Quella più forte sopravvive, quella più debole muore … ma il punto è che quella più forte in un’altra circostanza può trovarsi ad essere più debole. Dunque conviene forse fare diversamente: quando le forze sono comparabili, meglio non combattere. Dopotutto, due cellule sono più forti di una, e se si alleano tutte le altre capitoleranno. Così nasce un patto, più o meno fragile, che lega queste due cellule. Qui nascono le domande interessanti: come fa ad esistere questo patto, come è possibile e a che condizioni può accadere che qualcuno vi sia incluso, come possiamo fare a starci dentro e ad assicurarci che funzioni per noi … Queste sono domande interessanti, legittime.

Loro invece ragionano proprio al contrario.

Esiste il patto. Ed è assoluto, eterno, “naturale”, ovvio, dato. Altruismo, scontato, certo, bisogna essere altruisti. Violenza? Brutta, perversa, errore; chissà come mai possa esistere la violenza. Vedono la violenza e ci vedono un mistero, qualcosa da analizzare. Addirittura si dilungano in lunghi testi di psicologia spicciola che dovrebbe spiegare come fa la gente a “giustificarsi moralmente” perché mangia animali … E certo, è una cosa che va proprio giustificata, eh, proprio una stranezza. Certo, dev’essere un grande mistero come mai un essere vivente, che esiste in virtù di un’originaria sopraffazione di una molecola su un’altra e di una cellula su un’altra, i cui geni sono sopravvissuti a scapito di milioni di altri individui, che perfino quando era uno spermatozoo ha dovuto fare morire tutti i competitori per esistere, possa essere egoista, violento e capace di sopraffazione …

Chiariamolo ancora, perché so che queste cose la gente non le capisce nemmeno se le ripeti dieci volte: io non sto dicendo che l’essere umano sia o debba essere sempre violento, insensibile ed egoista. Tutt’altro, gli umani sono anche pieni di amore e compassione, e tali doti gli sono preziose. Quello che sto dicendo è che in quel vasto insieme dei fenomeni biologici, se vogliamo possiamo riferirci ad esso come “natura”, queste sono piuttosto l’eccezione che non la regola. E di gran lunga. Dunque non c’è davvero niente di strano che noi ammazziamo, che rubiamo, che sterminiamo, che stupriamo … Figurarsi se c’è qualcosa di strano nel fatto che uccidiamo animali per mangiarli! È la cosa più normale del mondo! La cosa strana è che ci sia gente che diventa vegetariana perché le dà fastidio l’idea che gli animali muoiano, visto che di regola gli animali muoiono (forse le aragoste sono un’eccezione …), e il più delle volte ammazzati da altri animali.

Io mi pongo le domande su quel ristretto, temporaneo, fragilissimo miracolo che è la solidarietà umana. Quello è interessante e merita profonde analisi. È un miracolo, appunto, una cosa strana ed eccezionale, e infatti grandemente imperfetta, e soprattutto ristretta nel tempo, nello spazio, nei campi di applicazione. Riusciamo a mantenere rapporti sociali con un massimo di centocinquanta persone circa; questo vuol dire che per noi è normale interessarci dell’esistenza di circa centocinquanta persone. Non mi sorprende affatto se già i tizi del paese di fronte ci stanno sul cazzo; non li conosciamo, hanno usanze diverse, magari anche aspetti diversi, è ovvio che siamo diffidenti e che cerchiamo di privilegiare noi stessi rispetto a loro. Qui interviene la ragione umana, che fa ancora altri gesti miracolosi: per esempio è in grado di dirci che metterci a fare la guerra con questi neri o con questi arabi è pericoloso e dannoso per entrambi, e ci suggerisce dunque di trovare altre strade.

Non è una differenza prospettica da poco quella su cui sto attirando l’attenzione, perché quello che si domandano loro è “quale legittimazione c’è ad escludere gli animali dalla cerchia della solidarietà?”, che è una loaded question, suppone che naturalmente essi vi sarebbero inclusi, e sia richiesto un artifizio per escluderli, piuttosto che un artifizio per includerli. Essi postulano che l’esclusione dalla cerchia morale sia un comportamento attivo, mentre il comportamento attivo è includere, non escludere. Suppone che la cosa vada spiegata in qualche modo strambo, magari tirandoci in mezzo Marx o Derrida. Suppone che sia una cosa strana che dev’essere giustificata, suppone che le regole di convivenza che abbiamo stabilito fra umani siano qualcosa di più di quello, di una semplice convenzione. Quella domanda ti sta già imponendo la stessa prospettiva degli antispecisti. Invece la domanda che mi pongo io è “perché mai dovremmo includere nella cerchia della solidarietà anche solo tutti gli umani, sempre ammesso che dobbiamo davvero farlo?”

Io credo fondamentalmente che tutto il dibattito dell’antispecismo si rispecchi sempre e comunque in una singola dicotomia: da una parte gli antispecisti che pensano che la morale, l’altruismo e la collaborazione siano una specie di assodata legge cosmica, rispetto alla quale la perversione umana ha introdotto gli elementi alieni della violenza e della sopraffazione, che dunque vanno eliminati a tutti i costi. E dall’altra io e quelli che la pensano come me, che riteniamo che la sopraffazione e la violenza siano quanto di più simile ad un’assodata legge cosmica, rispetto alla quale l’inventiva umana ha introdotto gli elementi alieni della morale e dell’umanitarismo, che vanno coltivati fin quanto possibile ma senza la pretesa che tutto l’universo (e.g., gli animali) vi sia incluso.

La ragione per cui il loro approccio sembra così allettante per molti è che effettivamente la maggior parte delle persone condivide la loro prospettiva: la credenza falsa nella morale e nell’altruismo come fatti assodati della natura (io lo chiamo tutto “realismo morale”, in barba a chi possa non apprezzare l’uso particolare di questo tecnicismo). Allora se l’altruismo e generosità sono davvero universalmente “buoni”, se rappresentano fatti assodati su ciò che per il cosmo intero è “bene”, dobbiamo espanderne l’applicazione a tutti gli esseri viventi. Siamo chiamati a farlo. Ma se così non fosse, se il giusto e lo sbagliato e il bene e il male fossero soltanto un espediente di sopravvivenza e di convivenza, allora non saremmo chiamati a metterci dentro i non umani, non ne ricaveremmo nulla.

Ovviamente, l’idea che dobbiamo espandere altruismo e generosità a tutto il reame dell’esistente genera evidenti paradossi. Per esempio, sarebbe sensato uccidere tutti gli animali carnivori in quest’ottica, no? Ma se lo facciamo, presto anche gli erbivori andranno estinti in conseguenze degli squilibri ecologici che abbiamo generato. Dunque semplicemente non possiamo davvero espandere a tutto l’universo la nostra regoletta di altruismo e generosità e baci e abbracci, l’universo non funziona così. L’universo ha bisogno del “male”. Ma se ne ha bisogno, se al “bene” serve il “male”, allora il male non è così male, no? Anzi, in effetti è bene! Un bel paradosso. Ma dobbiamo aspettarcelo qualche paradosso, se dalla nostra piccolezza di uomini ci vogliamo ergere a giudici sulle fondamentali leggi di funzionamento del cosmo.

E qui, infatti, sta l’unico riconoscimento di valore filosofico che io sia disposto, e di buon grado, a concedere all’antispecismo: rappresenta una confutazione ab absurdo del realismo morale.  Si mostra, insomma, che se il realismo morale fosse vero arriveremmo ad assurdità come quelle dell’antispecismo, e dunque concludiamo che il realismo morale dev’essere falso. In questo senso, è davvero un buon esercizio.

In tutti gli altri, è davvero interessante come la risposta alla domanda “perché esistono i bicchieri?”

Per berci. Ecco. E adesso voglio il mio dottorato in filosofia.

Ossequi





Il decalogo dell’antievoluzionista scientifico

25 01 2013

Di Vincenzino Piumino, laureato in Scienza e come tale illustre scienziato laureato.

L’antiscienza non si improvvisa. Non è che puoi semplicemente andar lì e dire “ha fatto tutto ImageDio”, cioè, la gente è fessa ma ha dei limiti alla stupidità. Almeno, una grossa parte di loro li ha. E voi, sì, proprio voi, con quel bel sorriso e qualche annetto di studio di materie scientifiche alle spalle con cui non sapete che fare … Voi è quel gruppo lì che volete conquistare! Il gruppo dei fessi non del tutto fanatici, ma mezzi-fessi, che hanno bisogno di poter dire che la scienza non dimostra l’evoluzione prima di rigettarla del tutto … quello è il target della vostra comunicazione!

Come facciamo a conquistarli? Ve lo spieghiamo subito.

Riul namber 1: Disimparate ciò che avete imparato

È la parte più difficile, almeno se avete studiato qualcosa che non sia lettere moderne nella vostra vita. Ma dovete farlo, è il passo fondamentale: DIMENTICATE IL METODO SCIENTIFICO.

Avete presente Galileo, metodo sperimentale, falsificazionismo, sistema basato su osservazione, formulazione di ipotesi, verifica delle ipotesi, modifica delle ipotesi per accordarle ai dati, formulazione di teorie flessibili … Minchiate. Si parte dalla conclusione: il darwinismo è morto. Prendetelo come assunto. Ora dobbiamo solo dimostrarlo, o quanto meno convincere che l’avete dimostrato. Il secondo passo è significativo a questo scopo.

Riul namber 2 “Il darwinismo è morto!”

Questa è veramente facile: ogni tanto … anzi, ogni poco, dovete enunciare solennemente qualcosa tipo “Il darwinismo è morto!”; “Darwin è confutato” o simili; versioni più raffinate potrebbero essere, ad es.: “Alla luce di questi nuovi dati, il darwinismo si trova in serie difficoltà”. Ma meglio ancora, “alla luce di questi nuovi dati, il darwinismo è morto”. “Morto” e “confutato” sono le espressioni migliori da usare, perché non lasciano spazio a dubbio e dialettica scientifica.

Sono da evitarsi invece espressioni più mollicce: “opinione” non si usa; “modello proposto” neanche; non limitatevi mai a qualcosa tipo “il darwinismo è messo in difficoltà”. Anche se è comunque una grossa sovrastima di qualsiasi problema incontrato dagli evoluzionisti, resta inadeguata per il pubblico che state cercando di conquistare, che è fatto sostanzialmente di fedeli che guardano alla scienza esattamente come alla Chiesa: aspettando dogmi. Se parlate solo di “difficoltà” date l’idea che se le difficoltà ci sono, comunque c’è la possibilità che siano risolvibili, o addirittura già risolte. Se proprio proprio, parlate di “difficoltà insormontabili”, ma io consiglio una sintassi più accessibile. Non perdete di vista che il vostro obbiettivo non è comunicare scienza, ovvero un modo di procedere da osservazioni a conclusioni, ma solo le conclusioni.

Riul namber 3 Rivolgersi alla gente

I malvagi evoluzionisti vi ostacoleranno con ogni mezzo, usando quel subdolo strumento autoritario chiamato peer review (si legge “pir reviù”). Ma voi potete tranquillamente fregarvene, basta che voi bypassiate completamente la comunità scientifica rivolgendovi direttamente al popolo. Strumenti utili per riuscirci? Amicizie nel CNR, giornalisti corrotti o in cerca di scoop (“il darwinismo è morto! Cazzo, qui ci vinco il Pulitzer!”) … il web, soprattutto! Un blog è un ottimo modo per evitare il confronto con la malefica peer review e far valere le vostre ragioni presso laggente.

Riul namber 4: C’è un complotto

Un evergreen. Quando le sparerete particolarmente grosse (e dovrete farlo di frequente per attirare l’attenzione), anche il lettore più ingenuo si domanderà: ma come mai tutti gli scienziati che hanno combinato qualcosa nella vita non la pensano come voi, che siete così fighi?

Non preoccupatevi, basterà dire, come tutti quelli che contavano minchiate hanno fatto nella storia, che c’è un complotto contro di voi.

Ci sono due modi per sembrare fighi agli occhi del popolo: uno è molto complicato, e consiste nel fare o dire cose effettivamente scientificamente fondate. Non è il nostro. L’altro è apparire come un fighissimo outsider, un ribbelle, uno di quelli scienziati che si vedono nei film che nessuno gli crede ma il meteorite stava arrivando davvero e salvano il mondo.

Ragion per cui, anche questa è abbastanza facile, basterà dire che c’è un complotto del perfido establishment scientifico-lobby evoluzionistica per nascondere la verità. Abboccheranno a migliaia; dopotutto loro non hanno studiato, sono anni che aspettano la rivalsa verso questi professoroni boriosi del cazzo che solo perché hanno fatto l’università dieci anni pensano di saperne di più di loro. La vostra scienza facile e alla portata di tutti, che non necessità studi e confronto con la comunità degli esperti, sarà per loro come il letame per le mosche.

Riul namber 5: “La comunità scientifica è spaccata”

Abbiamo appena detto che la comunità scientifica la potete bypassare completamente, tanto è completamente in mano alla lobby evoluzionistica che controlla tutto.

Adesso serve un piccolo esercizio di bispensiero, perché verrà fuori che invece non controlla tutto, e anzi, ci sono scienziati che pubblicano direttamente, su prestigiose riviste, perfette, compiute e indiscutibili falsificazioni del darwinismo! Il darwinismo, insomma, è stato confutato anche sulle riviste controllate dagli evoluzionisti! Sì, quelle su cui a voi non vi fanno mai pubblicare perché le critiche all’evoluzionismo non sono accettate!

Non abbiate paura, il vostro pubblico non noterà la contraddizione; per loro sarà perfettamente plausibile che da un lato la lobby evoluzionistica controlli col pugno di ferro tutta la stampa scientifica impedendo qualsiasi critica all’evoluzionismo, e dall’altro che critiche distruttive all’evoluzionismo passino tranquillamente sulla stampa, e che la comunità scientifica nonostante la propria immensa malafede le lasci pubblicare mettendo così in piena luce tutta la propria debolezza.

Riul namber 6: Citazioni alla cazzo

Strettamente conseguente alla regola precedente. Dunque, ricordiamo ancora una volta chi è il nostro pubblico: gente che tendenzialmente non ha studiato materie scientifiche, o comunque non ha fatto grandi carriere nella ricerca, al massimo avrete un insegnante di scienze delle superiori come membro “colto” del vostro pubblico; gente che ha sempre guardato con muta adorazione alle meraviglie della scienza, che alla sua mente semplice apparivano come niente di meno che magie o miracoli sciamanici; gente che vede nella scienza un suprema dispensatrice di verità che si confronta sullo stesso piano con le Sacre Scritture o col Catechismo; gente che DETESTA tuttavia questo potere misterioso ed avverso e altro non brama che vederlo domato e reso innocuo davanti a sé.

Non dovete ancorarvi a discorsi razionali, ma semplicemente assecondare tutte le pulsioni emotive. Prima abbiamo assecondato invidia e disprezzo con la storia del complotto, adesso dobbiamo assecondare l’ammirazione, e lo faremo citando 1) opinioni “illustri” di antievoluzionisti. Non importa d che campo di studi siano, basta che abbiano un’aria “scientifica”. Per esempio Zichichi va bene, anche se ne sa di biologia quanto io di tinture per capelli. 2) Articoli scientifici veri. 3) Opinioni di illustri evoluzionisti, come Dawkins o il sempre verde Gould, ma farlo sfruttando estrapolazioni dal contesto e ambiguità tali da far sembrare che indeboliscano il darwinismo. Anche se non facciamo scienza, possiamo comunque sfruttarne il carisma.

Non crediate che sia difficile. Di antievoluzionisti con una laurea in toelettatura del cane se ne trovano, specialmente non restringete il campo di ricerca ai biologi, e le lauree fioccheranno. Quanto ad articoli scientifici e opinioni di evoluzionisti, sappiamo bene (ma non ditelo troppo in giro) che le teorie scientifiche sono flessibili, si modificano continuamente e in realtà raramente danno conto della totalità perfetta delle osservazioni. Il dibattito scientifico sull’evoluzionismo è poco meno frizzante che quello sulla relatività o sulla meccanica quantistica, quindi sicuramente potremo estrapolare qualche frase o qualche dato o qualche opinione, anche da ciò che scrivono e dicono gli evoluzionisti, che possiamo interpretare come una “confutazione del darwinismo”.

Vero è che, purtroppo, ormai gli evoluzionisti stanno molto attenti a specificare il perché e il percome le loro obiezioni, i loro dati, e le problematiche più o meno significative che sollevano, possano benissimo rientrare nel quadro essenziale di un’evoluzione di tipo darwiniano. Dopotutto i nostri avversari si sono evoluti per prove ed errori nella lotta contro di noi. Niente panico: basterà omettere o minimizzare tutti quei passaggi, quei calcoli e quei discorsi, concentrandoci solo sulla pars destruens, che dai tempi di Pirrone è sempre quella più facile da portare avanti.

Riul namber 7: L’aggettivo “scientifico”

Come abbiamo detto, dopo aver stimolato la componente emotiva “invidia/disprezzo/paura” della scienza, adesso continuiamo a stimolare la componente “ammirazione”. Questo trucchetto è facilissimo ma davvero di grande effetto: si tratta di aggiungere spesso, spessissimo e in bella evidenza l’aggettivo “scientifico” a tutte le nostre opinioni in libertà. I più furbi potrebbero notare che questa fissazione per la precisazione che siete “scientifici” sa un po’ di scusa non richiesta. In effetti lo è, ma il pubblico che interessa a noi resterà molto impressionato se chiamiamo il nostro sito “critica scientifica”, “creazionismo scientifico”, “Bibbia scientifica”, “minchiate scientifiche”. Visto? Anche le minchiate assumono tutto un altro tono se si aggiunge “scientifiche”!

Sullo stesso tono dell’aggettivo “scientifico”, potete inserire di tanto in tanto dei bei paroloni specialistici che capirete solo voi e quelli a cui li spiegherete … A modo vostro, chiaramente! Il vostro pubblico probabilmente non ha idea di cosa siano “gradualismo” o “equilibri punteggiati”. Spiegateglielo: il gradualismo è quella teoria per cui gli orsi diventeranno lentamente delle balene tramite piccole pinne che gli spunteranno sui fianchi facendosi ogni giorno più grandicelle, mentre gli equilibri punteggiati sono quell’assurda idea secondo cui un giorno da un uovo di T-rex è nata una gallina.

Riul namber 8: Argumentum ad ignorantiam

Un altro trucco vecchio come il cucco, ma che fa sempre il suo effettone: scambiate le cose che non si sanno per assoluti insondabili misteri; scambiate l’assenza della prova per la prova dell’assenza, e cose così.

Esempio pratico: gli evoluzionisti non hanno ancora una prova definitiva su quale sia il modo in cui si evoluto il comportamento migratorio degli uccelli.

Ovviamente gli evoluzionisti hanno mille ipotesi tutte plausibili sull’argomento, e nessuna di esse può essere del tutto esclusa. Altre possibilità ancora possono essere immaginate, quindi il darwinismo come impianto non è neanche sfiorato dalla questione, semplicemente rientra nel quadro delle ricerche (se sapessimo tutto che ricercherebbero a fare?).

È facile, dovete solo trasformare la frase “gli scienziati non hanno ancora stabilito in modo definitivo l’origine evolutiva del comportamento migratorio” in “il comportamento migratorio contraddice la teoria dell’evoluzione”. Dai, son simili, non lo noterà nessuno.

Più o meno come se si dicesse che siccome la meccanica quantistica non è ancora collegata in una teoria solida e dimostrata alla relatività generale, allora sono tutte e due da buttare nel cesso e dobbiamo tornare alla fisica aristotelica. Sì, detta così suona strana, ma voi non dovete mica dirla così. Dissimulate, no? Siam qui per questo.

Riul namber 9: Niente teorie alternative

In ambito scientifico di solito, quando si fa notare un problema più o meno insoluto, si ipotizzano anche le soluzioni. Se farete una cosa del genere otterrete degli sgradevoli effetti:

1)      Sembrerete anche voi un professorone borioso, invece che un uomo del popolo ed un outsider.

2)      Non darete più l’impressione che ciò che dite voi sia assoluto e al di là della dialettica scientifica.

3)      Potrete essere confutati e irrimediabilmente messi in condizione di inferiorità.

Dunque questa è una regola fondamentale: se vi venite meno rischiate di buttare tutto ciò che avete fatto finora: NON VI ESPONETE MAI CON UNA TEORIA SCIENTIFICA ALTERNATIVA vostra, e neanche pseudo-scientifica. Non solo è controproducente, ma non è neanche coerente col vostro obbiettivo, che è di usare l’argumentum ad ignorantiam per sostenere che “l’ha fatto Dio”.

Potete concedervi al massimo, ammesso che vogliate arrischiarvi a DIRE qualcosa di vostro invece che semplicemente a criticare quello che dicono altri, un’alternativa filosofica vaga e non verificabile. Nominate qualcosa tipo “trascendenza” o cazzate così, i filosofetti neotomisti che vi leggono avranno orgasmi multipli.

Riul namber 10: niente DIO!

Abbiamo aperto con la regola più importante, chiudiamo con la seconda regola più importante.

Non parlate MAI di Dio. I vostri lettori hanno fatto una fatica intellettuale che manco Sant’Anselmo per convincersi che il fatto che non credono all’evoluzionismo è dovuto ai fatti e non alle fantasie fideistiche. Se tirate in ballo esplicitamente Dio rischiate di rovinare tutto. Se volete farlo, dovrà essere una cosa sottile, un detto-non detto. Magari fatelo nei commenti al blog, non nell’articolo, così si nota di meno. Dev’essere una cosa tipo “noi lo sappiamo ma non lo diciamo, lasciamo che gli altri ci arrivino da soli”.

Perfetto. Signori, vi garantisco che se seguite questo decalogo avrete centinaia … che dico, migliaia di fan praticamente nelle vostre mani! E non serve poi granché per riuscirci, la parte più difficile è quando si deve citare male la letteratura scientifica, perché richiede effettivamente di leggerla. Ma tutto il resto è veramente semplice, servono solo simpatia, carisma e una buona dose di faccia tosta. Io ce l’ho, e voi?