Gualtiero Cannarsi e il letteralismo biblico

14 05 2020

 

Che strana accoppiata nel titolo, eh? Che cosa c’entra Gualtiero Cannarsi, colpevole solo di essere il peggior traduttore (adattatore? Boh) di tutta la storia dell’umanità, con quella corrente del protestantesimo che predica il libero esame del testo biblico, ma solo interpretato in maniera letterale?

Gualtiero Cannarsi - Wikipedia

la tua sensualità non ti proteggerà dalle mie critiche!

Per cominciare, hanno in comune che entrambi si fanno portatori della filosofia del linguaggio più scadente che sia possibile concepire. Entrambi ti forzano addosso questa loro filosofia del linguaggio con tutti gli strumenti che possiedono, facendo in modo che sia difficile o impossibile ignorarli. Entrambi sono convinti che la loro via sia quella giusta, così tanto che se a te non piace sei in torto tu, e comunque t’attacchi al cazzo. Entrambi sono simpatici quanto una medusa nei boxer. Ed entrambi sembra che ci toccherà sorbirceli ancora a lungo. Ma soprattutto: nessuno dei due si rende conto di star adottando una specifica, e piuttosto ardita, filosofia del linguaggio, e di startela forzando addosso: entrambi dicono “io non c’entro niente, è il testo che dice questo, sono gli altri che lo travisano…”.

Ma stiamo su Cannarsi, per il momento. Come lavora, esattamente, Cannarsi? Mi direte tutti: “col culo”, e io dirò, sì, certo, lavora male. Dal punto di vista dell’etica professionale siamo sul livello del chirurgo pazzo di Human Centipede. Ma intendo, che principi ispirano il suo lavoro?

Secondo me ci sono due citazioni che ci fanno capire come (s)ragiona Cannarsi.

La prima è quando giustificò l’incomprensibilità delle sue traduzioni con “è pur sempre una lingua straniera” (perdonatemi, non riesco a trovare la fonte, ma mi rimase impresso).

What's your “Low-code face”? - Dominique Fish - Medium

Ehm… No! Il Giapponese è una lingua straniera. La traduzione in Italiano non è più una lingua straniera, è lingua Italiana. E tu sei pagato per tradurre in Italiano, e quindi devi scrivere un bell’Italiano. Se avevo voglia di spremermi le meningi per decifrare un idioma incomprensibile facevo un corso di Giapponese. Invece pago te perché tu traduca. È il tuo lavoro. Pare un pasticcere che, dopo avergli ordinato una meringata alle fragole, ti porti a tavola dei bianchi d’uovo, dello zucchero e delle fragole e ti dica “eh, mica è un piatto facile da fare, ci vuole un po’ di sforzo”… Non fosse che tu sei pagato esattamente per evitarmi lo sforzo.

Ma il passaggio seguente è molto più illuminante:

«[…] credo che la sensazione che i miei adattamenti siano “riconoscibili” derivi dal fatto che spesso altri adattamenti cinetelevisivi di opere straniere sono banalmente “italianizzati”, e non mostrano quindi la loro prima, comune radice culturale di provenienza. […] questa riconoscibilità non è dovuta a un mio stile personale che sovrappongo alle opere altrui e straniere, no, tutto il contrario».

Wow. È così tanto sbagliata questa cosa. Non si sa dove iniziare. E allora, inizierò da lontanissimo. Dagli anni duemila, in cui un giovane Alberto, appena affacciatosi ad internet, frequentava un gruppo di amici in MySpace coi quali intavolava dibattiti, principalmente sul tema della religione.

In quel gruppo vi erano tre fazioni in costante battibecco: atei, integralisti cattolici, e i peggiori di tutti, gli integralisti evangelici. Questi ultimi fornivano un campionario di stupidate che a ripensarci ancora mi viene da tirarmi via i capelli… Comunque, questi ultimi erano letteralisti biblici, ovvero convinti letteralmente dell’infallibilità della Bibbia. Quello che c’è scritto nella Bibbia era tutto vero, punto, e alla lettera. Tutto. Sì, anche le cose palesemente non vere. Per loro non c’era nulla di interpretato, figurativo, allegorico… nono, tutto esattamente com’è scritto. Dice che le cavallette hanno quattro zampe? Sì, hanno quattro zampe. Dice che il mondo ha seimila anni? Ita est.

Il problema, però, è che se vi andate a leggere qualsiasi traduzione della Bibbia, vi troverete cose ovviamente non vere. Come conciliare questo con l’infallibilità?

E qui ci viene in soccorso il professor Valla, noto al web come “il professor Testoh” perché nei suoi video spiegava che nessun errore della Bibbia era in realtà un errore, e lo faceva richiamandosi continuamente al TESTO originale e giustificando gli errori come semplici problemi di traduzione.

Questo trucchetto non funzionava sempre, perché alcune cose che la Bibbia dice o che se ne ricavano, tipo l’età della Terra, o alcuni resoconti storici, sono completamente campati in aria e non si possono giustificare con giochetti filologici. Ma in certi casi in un certo senso la cosa funzionava… In un certo senso. Per esempio: una volta io feci notare che la Bibbia chiama le lepri “ruminanti”, ma le lepri non sono ruminanti. Una delle mie conoscenze evangeliche mi sfidò letteralmente a porre questo problema direttamente a Valla. Non mi conosceva abbastanza e aveva evidentemente scambiato il fatto che io sia un po’ timido e sulle mie con un timore del confronto. Ma se mi sfidi non mi tiro indietro… e allora ho scritto la cosa a Valla. E indovinate: niente paura, aveva la soluzione! Il termine originale, credo ebraico, per “ruminare” voleva dire semplicemente “riportare su” il cibo; e le lepri effettivamente rimangiano le proprie feci per digerirle di nuovo, quindi “riportano su” il cibo.

Meraviglioso. Ok, non c’è dubbio: il redattore del testo sicuramente intendeva quello, e non che le lepri fossero mucche. Un punto per il professor Testo, qua: il TESTO originale non commetteva un errore così grossolano.

Ma c’è un piccino piccino sebbene cruciale dettaglino: il testo originale è scritto in ebraico antico. Non c’è tutta ‘sta gente in giro che sappia l’ebraico. Quindi il professore ritiene che il TESTO sia perfetto, e ammettiamolo pure… ma praticamente nessuno può avere accesso a quella perfezione, perché nessuno lo capisce, quel testo. A noi poveracci plebei che non abbiamo dedicato la vita a studiare Ebraico, Greco ed Aramaico, la perfezione del testo è irrimediabilmente preclusa. Siamo costretti ad affidarci alle traduzioni, e le traduzioni, a occhio e croce, possono arrivare perfino a confondere le lepri con le mucche.

Questo è un problema ovvio: la Bibbia contiene un messaggio che deve appartenere a tutti. Eppure, mi si dice qui, appartiene invece solo ad una ristrettissima minoranza che capisce di lingue antiche. Gli altri? S’attaccano al cazzo.

Certo, si potrebbe sostenere che la verità della Bibbia non sia letterale, e allora questo problema non esiste più. Se non è letterale, allora non ci frega niente se son lepri o conigli o mucche, si mangiano la cacca o le unghie o le lumache à la bourguignonne, perché non è quello il punto. Ma se è letterale, allora la traduzione diventa un problema, un problema grave. Perché la traduzione interpone un filtro fra me e il testo, e quel filtro, dice il professor Valla, è un filtro che deteriora, che inquina, che corrompe, che ci nasconde l’aurea perfezione dell’originale. Il testo originale è perfetto, la traduzione invece è inaffidabile.

La venerazione dei letteralisti per il testo originale presuppone che vi sia in esso un ineffabile qualcosa, che sta nella sequenza stessa dei grafemi e dei fonemi, e che va al di là della nozione di significato. Il testo vive di vita proprio, non è un semplice schema di senso. C’è qualcos’altro.

Ora, ci sono due approcci filosofici sensati e coerenti ad un testo sacro:

Il primo è quello non-letteralista, che allora dirà che il punto non è tanto quello che c’è scritto alla lettera, con che parole esatte è scritto, in che ordine sono messe le parole; quanto il modo in cui esso in ogni epoca, in ogni luogo, in ogni contesto culturale riesce a parlare con le persone, ad interfacciarsi con loro. Costoro cercheranno di tradurre il testo nel modo migliore possibile cercando di renderlo decrittabile dalla lingua/cultura di arrivo, e senza fissarsi troppo su lepri e mucche e quanta cacca mangino a colazione.

Il secondo è quello letteralista stretto, usato dai musulmani. Il testo è perfetto è puro nella sua lingua originale, vi è in esso qualcosa, nella sua composizione specifica, nella sua sonorità, che è quasi magico. Se è così, non si può tradurlo, non si deve tradurlo. I musulmani, come i letteralisti biblici, credono nella perfezione del Corano, ma sono più coerenti e lo ritengono dunque anche intraducibile: esso è stato dettato da Dio in quel modo, con quelle parole, messe in quell’ordine, con quella sintassi; non puoi tradurlo, lo stai già “sporcando” nel tradurlo. Discutibile, ma almeno questi non fanno danni.

Questi sono i due approcci sensati, ho detto. Ma poi ci sono quelli non sensati, per esempio quello dei letteralisti cristiani: dire che il testo originale è perfetto e infallibile, eppure noi dobbiamo accontentarci lo stesso di una traduzione e far finta che sia infallibile pure quella, nonostante chiaramente non lo sia. Io non lo conosco l’Ebraico, dunque mi si chiede di aver fede non tanto nella Bibbia, che è perfetta, ma nella traduzione di Valla. Be’, magari posso credere nella Bibbia ma non voler affidare la mia vita a Valla, eh?

Non penso sia un problema tornare a Cannarsi, ora, vero? La connessione mi pare chiara: Cannarsi è chiaramente un letteralista cristiano applicato agli anime (sono orgoglioso di essere riuscito a mettere tanto disagggio in una sola frase). Egli è religiosamente convinto che nella lingua Giapponese vi sia di più che uno schema di significato, un rimando delle parole alle cose e delle parole ad altre parole. Nel testo giapponese vi è, sembra credere, il Giappone stesso. L’anime è giapponese, e tradurlo in Italiano è già di suo una porcheria, una cosa zozza, vergognosa, sacrilega. “Italianizzare”… BLEAH! CACCHI CACCHIIII SCHIFOOO!

Il primo problema in ciò è che, esattamente come Valla, ha torto proprio nel suo approccio. Nel senso, ogni lingua è espressione di una cultura, per cui l’atto della traduzione naturalmente altera, come dice il poeta vate, “la loro prima, comune radice culturale di provenienza”. Ma qualsiasi testo deve passare attraverso un passo intermedio interpretativo; l’atto stesso del leggere è un atto interpretativo. Se io imparassi il Giapponese, così da poter finalmente essere iniziato alla sapienza segreta degli anime dello Studio Ghibli, non sarei mica per questo diventato giapponese: sarei comunque solo un italiano che ha imparato il Giapponese, come Cannarsi; e come Cannarsi anche io, leggendo il testo originale, andrei a sovrapporre ad esso le mie categorie culturali ed anche personali, che sono quelle di un italiano. E d’altro canto, non sono forse questo, gli adattamenti di Cannarsi, ovvero una lingua inventata da Cannarsi? Quello non è una resa fedele del Giapponese, ovvero “il modo in cui suona il Giapponese ad un giapponese”, ma semplicemente “il modo in cui suona il Giapponese ad un italiano”: strambo, alieno, contorto, a tratti semplicemente sbagliato. A meno di pensare che il Giapponese sia una lingua innatamente aliena, stramba, contorta e perfino sbagliata, quello che ci sta passando non è “il Giapponese”, bensì “il Giapponese come appare a Cannarsi”… ovvero come appare ad un Italiano che, ad occhio e croce, avrebbe voluto nascere giapponese, e allora cerca di imitare i giapponesi, ovviamente fallendo e sembrando ancora più provinciale.

Non sorprende che nel mondo di Valla e Cannarsi i soggetti che vengono dipinti come più mostruosi siano i traduttori. Il loro ruolo è esattamente quello di rendere un testo proveniente da un’altra cultura ed espresso in un’altra lingua decrittabile dall’italiano contemporaneo. Il lavoro del traduttore è fondamentale, perché prende un testo inaccessibile a molti e lo rende accessibile. Eppure, nel mondo di Valla e Cannarsi, i traduttori paiono una setta segreta, una cricca di criminali ed imbroglioni senza scrupoli dediti all’offuscamento della Verità e alla corruzione del testo.  Dietro traduzioni in Italiano italianizzate (ragazzi, scoop del giorno: le traduzioni in Italiano sono italianizzate; PLOT TWIST) il satanico traduttore obnubila la perfezione dell’originale. D’altro canto, se il testo è perfetto solo nell’originale, e ogni traduzione è una corruzione, bisogna tradurre il meno possibile.

Questo è un problema naturale che sorge laddove si affermi che il “testo puro” è quello perfetto cui dobbiamo riferirci: che non esiste un “testo puro”, il testo viene filtrato all’atto stesso dell’intendere. Intendere vuol dire interpretare; Valla e Cannarsi non interpretano meno degli altri, non sono semplici messaggeri investiti dal testo, dei fili conduttori vuoti: sono filtri, contenitori che danno forma al contenuto. Perché nel testo originale potrà pure essere contenuto il Giappone stesso (e non è così), ma alla fine passa sempre attraverso gli occhi e il cervello degli italiani, che lo leggeranno come lo legge un Italiano. E non può essere altrimenti, perché c’è sempre un medium fra l’intento autoriale e la ricezione del pubblico, essa non è mai “pura”.

Certo, anche i musulmani credono che il testo puro sia perfetto, ma almeno loro ci mettono in gioco il prodigioso, il magico: il Corano è perfetto perché c’è qualcosa di miracoloso in esso che lo rende perfetto solo nella sua lingua originale. Nell’atto di leggerlo, in quella esatta sequenza di suoni, come fosse una formula magica il miracolo si produce e ri-produce. Ma che miracolo si produce nel testo Giapponese di Evangelion? Non credo che sia stato dettato direttamente dal labbro di Allah per essere trasmesso inadulterato.

Ed è qui infatti che la filosofia di Cannarsi si rivela non solo sbagliata, ma anche profondamente incoerente. Perché se davvero Cannarsi ritenesse che il modo esatto in cui la lingua Giapponese compone i dialoghi conferisca ad essi qualche ineffabile proprietà, fino a contenere il Giappone stesso, allora non dovrebbe tradurre affatto. Tradurlo è già averlo inquinato. Dopotutto, tradurre dal Giapponese all’Italiano che cos’è, se non una *GASP* italianizzazione del Giapponese? Non andrebbe fatta. Perché il problema è che puoi anche pensare che tradurre il Giapponese in un Italiano comprensibile, ovvero adattare, non sia possibile, ma l’atto di produrre un adattamento presuppone quella possibilità. Se non ci credi, se pensi che adattare possa produrre soltanto quelle assurde porcate, allora non c’è ragione che tu lo faccia. Speriamo davvero che Gualtiero si renda conto di quanto sacrilego è l’atto che sta compiendo cercando di rendere il Giapponese in Italiano, e decida di fare qualcos’altro nella vita, e si intende, letteralmente qualunque altra cosa (lo vedrei bene a tradurre Bibbie, nessuno ci capirebbe più un cazzo e sarebbe la fine dell’integralismo religioso in Italia).

Ma purtroppo qui c’è un problema ulteriore, e cioè che Cannarsi, come i letteralisti, non sembra rendersi conto di cosa sta facendo, e il suo modo di presentare con nonchalance il suo operato, come se fosse un approccio naturale all’adattamento di opere straniere, rivela un’insipienza filosofica da far rivoltare Eco nella tomba. Cannarsi è un credente, convinto che esista un “testo puro”, un inadulterato qualcosa nascosto fra gli ideogrammi. E lui, lui ha avuto accesso a quel segreto qualcosa. Lui solo è stato illuminato e deve “condurlo” a te… Peraltro non si sa perché proprio lui dovrebbe essere l’illuminato, visto che non è neanche giapponese. Il filtro che egli pone fra gli utenti e l’originale è pesantissimo (e perciò riconoscibile), ma lui non lo vede; non capisce che egli non è affatto invisibile, che nessun traduttore è invisibile e che lui lo è meno ancora. Cannarsi si vede perché ci si è messo tutto, lì dentro, in modo quasi impudico, perché nelle sue traduzione si mette completamente a nudo. Non si rende conto che il suo tentativo di essere invisibile in realtà non fa altro che sottolineare maniacalmente, ossessivamente il suo modo di essere e di pensare. Come sono le sue traduzioni? Ossessive. Puntigliose. Elitiste. Ampollose. Ottuse. Si credono raffinate ed intellettuali quando sono solo ridicole. E le sue traduzioni sono le sue e ci parlano di lui, come le mie traduzioni sono le mie e parlano di me, come le traduzioni di chiunque sono le sue traduzioni e parlano di lui/lei. Ma dalle mie traduzioni, ve lo assicuro, capireste molto di meno su di me, di quanto quelle di Cannarsi ci raccontano di lui.

La mia tesi è che Cannarsi tutto ciò non lo capisca, e che quindi sia in difetto di acume, e non di buona fede. Beninteso, potrebbero mancargli entrambi, o solo la buona fede. È senz’altro possibile che lui in realtà sappia benissimo cosa sta facendo, ovvero che sappia benissimo che le sue traduzioni sono pagliaccesche e impossibili da fruire, ma che lui le usi lo stesso proprio perché vuol portare avanti un punto filosofico: che le lingue siano intraducibili (forse tutte, forse solo il Giapponese perché è quello che piace a lui), e che tradurle sia peccaminoso. E allora crea delle traduzioni volontariamente inutilizzabili per portare avanti questa teoria.

Ciò farebbe di lui un Marcel Duchamp che fa i baffi alla Gioconda, un ardito artista dada che profana l’arte per fare altra arte (sia pur con la differenza che Duchamp non ha davvero rovinato la Gioconda, mentre Cannarsi rovina davvero le opere che adatta).

Sarà forse, Cannarsi, un simile genio?

Ascolto un rigo di dialogo tradotto da lui.

“Papà, che stanotte si va a prendere in prestito era promesso, eh!”

No. Decisamente no.

 

 

Ossequi.


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3 responses

14 05 2020
Connacht

Una precisazione: Gualtiero Cannarsi non traduce (si affida a una italo-giapponese da quel che ho capito), ma “adatta” in dialoghi la traduzione cruda che gli viene fornita, come ci tiene lui stesso a specificare.

14 05 2020
lostranoanello

Yep, me l’hanno detto, e se chiedi a me, è abbastanza evidente che lui non è davvero familiare con la lingua. Ci trasmette un’idea della lingua Giapponese come di entità completamente aliena, ed evidentemente quello è il modo in cui lui la vede.
Di fatto, però, il suo adattamento impatta così profondamente il testo che la sua diventa praticamente una traduzione sua.

9 03 2021
STAR WORDS: “L’uso sessista della lingua” | Lo Strano Anello

[…] sì, scrissi fiumi di inchiostro per criticare la filosofia del linguaggio di Gualtiero Cannarsi, in un mio articolo che riscosse un discreto […]

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