I kiwi sono animali molto gentili, quindi gli animali hanno diritti umani.

6 09 2013

NO. Il fatto che i kiwi o i gorilla o i pesci rossi o le lumache siano animali molto gentili e simpatici non ha alcuna influenza sul fatto che abbiano diritti.

Coloro che rispondono alle mie posizioni sui “diritti animali” sostengono spesso che sbaglio quando affermo che gli animali non partecipano del contratto morale, perché gli animali (in realtà, le solite due o tre specie di primati e cetacei, che magicamente diventano “gli animali”) hanno un(a specie di) senso morale e formano strutture sociali relativamente complesse.
E non hanno capito un cazzo bollito della mia posizione. Per loro quello morale è ancora un problema che sta tutto nella dimensione astratta e metafisica dei “principi” e del “diritto naturale”. Per loro c’è comunque una qualche caratteristica a priori che conferisca divinamente il diritto agli esseri viventi. E poiché hanno facile gioco a non trovare nessuna caratteristica umana che sia completamente dimostrata non presente, sia anche solo in protoforme appena accennate, in nessun’altra specie, allora concludono che l’umano non avrebbe niente di speciale e dunque nessun particolare diritto.
L’errore, che ho spiegato varie volte, sta proprio in questa deduzione, e cioè nella falsa implicazione che per fondare una normativa di comportamento e attribuire conseguentemente dei diritti dovrebbe servire possedere in astratto una qualche magica proprietà, sia essa l’essere senzienti o il possedere il misterioso “senso morale”. E non è così, è tutto un problema PRATICO del convivere e del condividere in regime di parità e reciprocità lo stesso sistema di norme. So benissimo che gli animali soffrono, so benissimo che alcuni di loro hanno emozioni, so benissimo che alcuni di loro hanno qualcosa di simile ad un “senso di giustizia” all’interno delle proprie comunità… E NON ME NE FOTTE UNA SEGA, non c’entra NIENTE. Quando dico che gli animali non stanno dentro all’ordine morale non mi riferisco al fatto che essi possano possedere un’astratta parvenza di quello che noi chiamiamo senso di giustizia, mi riferisco alla capacità pratica, reale, immediata di stare nella società come membri attivi e costituenti. Non è avere un senso morale in sé che metafisicamente permette loro di essere nostri pari, è la condivisione alla pari di un piano di regolamentazioni e norme di comportamento comuni quello che conta, perché è ciò che interviene praticamente nel delineare i termini della convivenza e i reciproci rapporti di collaborazione o conflitto fra gli individui. Che fra loro le scimmie si scambino pezzi di banana con spulciate dietro le orecchie non ha alcuna importanza, visto che non ho le pulci e odio le banane.

Banalmente, sentirò di avere obblighi morali verso un qualche animale sulla terra quando quell’animale sentirà di avere il medesimo obbligo morale nei miei confronti (o quando attraverso qualche altro più complesso circuito di interazioni, la società tutta, me compreso, avrà un ritorno positivo da questo).

Gli scambi di spulciate e pezzi di banana sono una cosa che riguarda le scimmie, che sta fra le scimmie, per le scimmie e regola i rapporti fra scimmie e basta. La rilevanza di scambi di banane, lanci di feci e spulciate per il comportamento morale UMANO è ZERO. Una scimmia, come umano, non ha nulla da darmi di interessante. O forse qualcosa ce l’ha, ma è sempre incommensurabilmente di meno rispetto a quello che può darmi un umano, dunque i rapporti con lei saranno strutturati su questa fondamentali disparità di potere contrattuale. Pensare che il modo in cui le scimmie si comportano fra di loro debba essere determinante per definire come no dovremmo comportarci con loro è lo stesso che sostenere che dovremmo volere bene ai nazisti perché fra di loro sono molto leali ed affettuosi. Cazzo c’entra, bisogna vedere che tipo di rapporti stabiliscono i nazisti con NOI, non fra di loro. E davvero non si spiega come facciano alcuni “pensatori” di area animalista a pensare che le scoperte di etologia (che non sono neanche così rivoluzionarie come credono, dovrebbero rileggersi Cartesio) possano avere una rilevanza, anche solo marginale, riguardo a questa situazione di base. Non c’entrano NIENTE. Meno di niente, c’è più attinenza fra questa faccenda e la chimica dei composti azotati o la geometria ellittica che non con le scoperte dell’etologia.

Quindi è inutile che mi mostrate video come questo pensando che magicamente cambierò idea, non c’entrano una mazza e non mi danno la benché minima ragione per cambiare idea. E poi diciamolo, ci sono solide probabilità che il comportamento animale lo conosca meglio di voi. I rapporti morali fra uomini e animali non sono mai sostanzialmente cambiati nella storia perché non è cambiata, e non potrò mai cambiare, la natura intrinseca dell’animale che gli impedisce di rapportarsi con l’uomo alla pari. Questo cambiamento radicale dei rapporti uomo animale non c’è mai stato né mai ci sarà perché non sussistono condizioni pratiche che lo consentano.
E se qui ancora non s’è capito, vuol dire che siamo un po’ tardi, eh.

Ossequi


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85 responses

6 09 2013
simona

Che coacervo di ignoranza e banalità!
Tutti e dico tutti gli esseri viventi presenti sul pianeta hanno un periodo di esistenza a tempo determinato, mangiano, si accoppiano, a volte si riproducono, dormono e svolgono qualsiasi azione utile a prolungare il tempo-vita.
Tutte le sovrastrutture umane come la scansione del tempo, la cementificazione, la tv, internet, le metropoli, il lavoro, le guerre, i soldi, ecc sono tutti modi per combattere la noia (mai realmente sconfitta) complicandosi e abbruttendo l’esistenza. E la nostra è l’unica specie a farlo.
Mi sembra che gli animali esprimano appieno la “capacità pratica, reale, immediata di stare nella società come membri attivi e costituenti” già solo rispettando e non deturpando il pianeta su cui TUTTI viviamo.
Quindi beati pure nel tuo menefreghismo, è a causa di gente come te che la qualità della vita di tutte le specie (compresa quella umana) è ridotta ormai al produci consuma crepa, con contorno di aria avvelenata, acqua avvelenata, cibo avvelenato, vita avvelenata!
Ossequi a te!

6 09 2013
lostranoanello

Santo cielo, con argomenti così forti mi devo necessariamente ritirare! L’argomento forte è che TU ti annoi, e che TU dai più importanza ad un generico pianeta che se ne fotte di te rispetto a te stesso. AH BEH! Mi ritiro, davvero, sono dialetticamente sconfitto! Anche se devo ammettere che le guerre e le metropoli fatte per combattere la noia quando bastava una partita a carte…

6 09 2013
walterstucco

wow!
TIL che la il lavoro è stato inventato perché ci annoiavamo.

intanto le.faccio notare che noi per vincere la noia siamo arrivati sulla luna, le suddette scimmie continuano a tirarsi merda fra di loro.
e lo faranno ancora per molto.

18 09 2016
Dalaila

Be si il lavoro è stato inventato perché era piu noioso che ognuno facesse le cose di per sè, ogni qual cosa è fatta per rendere le cose ‘meno pesanti’

6 09 2013
VoceIdealista

Domanda: e gli organismi non devono fare un qualche genere di lavoro per procurarsi il cibo?
Anche le piante devono fare una cosa complicatissima come la fotosintesi (con varie vie metaboliche diverse) per nutrirsi.
L’ignoranza e la banalità è credere che in natura gli organismi vivano magicamente senza fatica e senza lavorare, in modo placido e pacifico, e che noi invece siamo un’intera specie di imbecilli che lavora per mangiare. Sappia che tutta la tecnologia umana è stata creata per scopi ben precisi e non certo per noia, perché conosco modi molto più semplici per divertirmi che progettare missili alti più di cento metri per andare a visitare una grossa roccia piena di polvere. Visto che non le piacciono i palazzi, perché non va ad abitare in mezzo a una bella foresta? Le do al massimo un’ora di sopravvivenza, ma forse capirebbe a che servono le case, l’agricoltura e tutto il resto.

La natura non è quella che vede nei film Disney, dove nessuno mangia o attacca qualche altro organismo, il mondo naturale è violento e selvaggio: sa che, a parte i Felidi, tutti i predatori mangiano vive le loro prede?
Ciò che mi fa veramente infuriare è la gente ingnorante che accusa di ignoranza chi studia per anni la biosfera, pur non capendo assolutamente nulla di come essa funzioni.

18 09 2016
Dalaila

Be su questo ho da ridire, non deturpano perché appunto la loro svegliezza è minore e non si annoiano..

6 09 2013
simona

Complimenti. Buona vita.

6 09 2013
lostranoanello

Altrettanto, cherie ^^
Non serbo rancore, sono un animale morale io. Se vuoi te lo dimostro regalandoti una banana.

6 09 2013
simona

Se volete necessariamente comprendere solo ciò che volete, liberi di farlo. Non mi importa granchè del vostro pensiero ne desidero farvelo cambiare. Quel che intendo è che potremmo vivere molto più felicemente se non ci fossero città, cemento, veleni, tempo e lavoro. siccome comunque tanto si muore, mi piacerebbe farlo dopo aver vissuto una vita senza gli stress e la merda della cosiddetta civilazzazione. Gli animali, nonostante noi, lo fanno. o ci provano. Non mi frega un cazzo che l’uomo sia andato sulla luna. e allora?
Ma pensi che circondandoti di tecnologia, vestiti, macchine, oggetti, parole, la tua vita sarà migliore? Io farei a cambio mille volte con la possibilità di bere l’acqua di un fiume senza avvelenarmi o poter cogliere una mela sapendo che non contiene cagate.
Il riferimento alla noia è da leggere in quest’ottica: a un certo punto l’uomo (inteso come specie umana) deve aver pensato che non gli bastava più mangiare accoppiarsi riposarsi ed espletare le funzioni corporali. Che l’abbia fatto per necessità, opportunità, noia, o qualunque altra ragione chissenefrega. Io so solo che l’eredità che ci ha lasciato a me non piace.
Ora, siccome a me non interessa una beneamata mazza della discussione virtuale. Voi continuate pure così, ognuno scelga come occupare il tempo che ha a disposizione. Io se posso cambierò sempre più il mio.

6 09 2013
lostranoanello

L’uomo fa ancora le stesse cose che fanno gli animali: mangia, beve, dorme, si accoppia. Al massimo gioca, ma quello lo fanno anche un sacco di animali.
Comunque se ti dà tanto fastidio l’idea che sopravviverai oltre la menopausa, forse puoi tentare di andare a vivere nella giungla. Probabilmente lì non sopravvivi, non ti annoi, ti becchi qualche malattia e te ne vai fra spasmi di dolore senza dover soffrire il disagio della civiltà.

6 09 2013
andre

Mettiamola così: quell’acqua, che vorresti assaporare direttamente dal fiume nel tuo mondo di fantasia, andrebbe prima raggiunta, magari con kilometri di migrazione, vedendo i tuoi simili morire uno dopo l’altro per gli stenti o i predatori (sempre che tu non faccia la stessa fine).
E una volta bevuta senza avvelenarti, come dici, potresti comunque ritrovarti con una bella infezione parassitaria, o peggio, per crepare comunque.

Ora se pensi davvero che una situazione del genere sia davvero priva dello stess e della merda della civilizzazione di cui vai blaterando (e non creder ch’io pensi che questo sia un mondo favoloso e adorabile), fai un favore al pianeta e al concetto di coerenza e staccati dal fottuto computer per andare a vivere fuori dalla quella civiltà che tanto disprezzi. No?

6 09 2013
paologianrossi

Mi chiedo che fai su internet allora, simona…

18 09 2016
Dalaila

Nsomma ci abbiamo messo un sacco per avere il mondo com’è oggi, perlomeno abbastanza divertente, e si può migliorare certo ma SENZA città direi proprio di no..poi come già detto io non sono ancora ne favorevole ne sfavorevole a questa faccenda, semplicemente non so ancora con certezza assoluta di cosa ha bisogno il mio corpo per vivere, sicuramente meglio il crudismo e all’idea la carne cruda mi fa un po’ ribrezzo ma ancora non so se è condizionamento

3 10 2016
lostranoanello

Quando sento elogi del crudismo mi viene sempre un po’ da ridere. La cottura è una delle scoperte più geniali dell’umanità; è un procedimento altamente igienico, rende i cibi più digeribili e uccide parassiti e microorganismi patogeni. Forse una delle invenzioni più geniali della storia dell’uomo.
E oggi sento dire di crudisti che accusano la cottura di tutti i mali del mondo. Sob.

6 09 2013
Francesco

Sono d’accordo con te sulla necessità della sperimentazione animale e trovo le osservazioni di simona di una banalità e inconsistenza disarmante. Tuttavia vorrei fare un osservazione sul tuo principio “pratico”, secondo il quale i diritti/doveri etici deriverebbero (se non ho capito male) da un contratto sociale tra i membri attivi e costituenti della società. L’argomento è utile per controbattere agli animalisti, ma potrebbe portare a qualche effetto collaterale non desiderato. Posto che sia come dici tu, infatti, quali diritti avrebbero, ad esempio, i malati mentali? O le persone in stato neurovegetativo? O i bambini? Un neonato non partecipa certo al contratto morale, ma gode di diritti etici in quanto gli altri glieli attribuiscono (proprio come accade nel caso degli animali). Che ne pensi?

P.S. Alcune riflessioni su questo punto vengono svolte da D. Hofstadter nei primi capitoli del suo libro “I am a strange loop”, tanto per restare in tema col tuo nick 🙂

6 09 2013
lostranoanello

Neonati e bambini comunque sono persone umane, diventeranno adulti; in questo senso non sono neanche dei veri casi marginali. Le persone in stato vegetativo persistente… là il dibattito è tutto se possano uscirne e quanto spesso. Io sono per far decidere a loro, fintanto che sono consapevoli, come essere trattati qualora smettano di esserlo. Solo alcuni tipi di malati mentali potrebbero essere considerati così disabili da non poter partecipare in alcun modo alla vita sociale. Ma io prudenzialmente li includerei comunque fra i membri della società, più che altro per evitare il rischio slippery slope (se iniziamo a decidere quali umani hanno diritto e quali no sulla base di sfumature come il QI, si autorizza facilmente la degenerazione del nazismo).

6 09 2013
Francesco

Scusami, ma non sono molto convinto. Prendo in esame solo la questione bambini, che è tutt’alto che marginale. Nel tuo ragionamento, sei passato da un principio “pratico” a uno, per così dire ontologico. Quando dici che i bambini hanno diritti in quanto persone umane basi il tuo ragionamento etico non più sul contratto morale, ma sull’essenza: l’essere persona umana completa/adulta (almeno in potenza) è ragione sufficiente per essere detentore di diritti morali. Già qui i nodi verrebbero al pettine, perché anche gli embrioni diventano, salvo morte per causa accidentale (ma lo stesso può avvenire con un bambino), adulti. L’aborto sarebbe immorale quindi? Ma al di là di questo, il problema secondo me è che ora tu attribuisci diritti a un bambino solo perché adulto potenziale. Viene meno allora il fatto di partecipare al contratto morale. In realtà tu attribuisci diritti al bambino solo perché è a priori “un essere umano”, basandoti su un principio di fatto non provato e del tutto analogo a quello utilizzato dagli animalisti per difendere la loro posizione (cioè “gli animali hanno diritti in quanto sono animali”).

Scusami per essere così invadente sul tuo blog. Volevo solo porre qualche domanda. Non ritengo certo di avere le risposte!

6 09 2013
lostranoanello

Leggi questo 🙂

Antiabortisti, antispecisti…

6 09 2013
Francesco

Sono d’accordo con il tuo articolo, che però tratta del rapporto antispecismo/antiabortismo. Forse non ho capito, ma continua a sfuggirmi la questione fondamentale? Su quale base attribuisci diritti ai bambini? O, posta diversamente, perché sarebbe sbagliato non attribuirgliene nessuno? Tanto non hanno voce in capitolo nel contratto morale.

6 09 2013
lostranoanello

Leggi anche i commenti a quell’articolo. Poi se hai ancora domande ti rispondo.

6 09 2013
Andrea

Vorrei fare notare che già ora bambini e malati di mente godono di uno stato di diritti ristretto, a cui si associa tra l’altro una tutela speciale. Non hanno diritto di voto e in generale nemmeno possono fare decisioni di natura economica.

6 09 2013
lostranoanello

Appunto, era una cosa che già facevo notare proprio nell’intervento che linkavo 🙂

6 09 2013
Francesco

Sono d’accordo. Ma godono del diritto alla vita, che è quello di cui stiamo discutendo qui.

6 09 2013
elkurdt

Ehi amico, lasciati dire una cosa, esageri. E te lo dice uno che frullerebbe topini del cazzo, se potesse ricavarne medicine. Citare la “morale” discutendo di scienza è già un cattivo presupposto, ma aggiungerci sopra che escludere chiunque non stia “nella società come membro attivo e costituente” significa escludere anche la maggior parte dei bambini e moltissimi malati di mente.

Possiamo discutere di tutto, ma non di morale, che son cazzate. Ed Hegel è un gran coglione. Ma anche Nietzche.

Possiamo ad esempio decidere che, animali che hanno un intelligenza superiore, vanno tutelati più di altri, che invece stanno più in basso, lo faremmo semplicemente perché ci piace trattar bene le specie che possono “somigliarci” di più, ma tant’è, sicuramente è un sistema “morale” valido come qualsiasi altro.

A quanto ho capito consideri degno di possedere diritti, solo chi può difenderli (o che possiede qualcuno pronto a difenderli in sua vece).

6 09 2013
lostranoanello

Qui non sto parlando di scienza, sto parlando di etica.
La cosa che è indiscutibile, almeno per me che sono ateo, è che il “dover essere” è una costruzione umana.
Come tutte le costruzioni umane, non può mai pretendere di alienarsi completamente dall’uomo, dai suoi scopi e dalle sue volontà. La morale è un prodotto della società umana, questo è quanto.
Dunque non deve stupirci se non aderisce ad alcuna regola trascendente, e dunque anche sistemi morali che oggi giudichiamo abominevoli hanno avuto una realizzazione storica.
Questo non significa che tutti i sistemi morali siano uguali, ma i sistemi devono essere valutati esclusivamente nel merito reale, ovvero nel merito della tutela che essi offrono alla società che li formula. Non c’è altro perché non può esserci altro.
La società poi ha interessi molto variegati; fra gli interessi della società rientrano il benessere degli individui, la riproduzione sociale, la compassione…

7 09 2013
elkurdt

“Qui non sto parlando di scienza, sto parlando di etica”
Proprio questo è il problema, stai argomentando su qualcosa basato principalmente su pensieri personali, che non si appoggiano su nessun dato, di nessun tipo. A vanvera, in linea di massima.

“I sistemi devono essere valutati esclusivamente nel merito reale, ovvero nel merito della tutela che essi offrono alla società che li formula”

Oh, prima mi parli di “etica” e sai, sono convinto che la società Italiana otterrebbe grande beneficio dall’uccisione di tutti gli idioti, considerando idiote, le persone con un QI inferiore a 110. Eppure non credo sarebbe una scelta “etica”.

“fra gli interessi della società rientrano il benessere degli individui, la riproduzione sociale, la compassione” Ma da quando in qua la compassione è un valore della società?

Forse, e dico forse, è un valore di alcune società, in alcune epoche storiche, rivolto verso precise categorie di individui. Così come è un “valore morale” della nostra società, o almeno di una parte di essa, la compassione verso gli animali. Oh, certo, non “migliora” la società, ma chi deciderebbe in cosa consiste questo “miglioramento? Perché per alcune persone, anzi, parecchie, sarebbe un “miglioramento”.

La cosa che mi infastidisce è che stai applicando una materia tra le più inutili e stupide (la filosofia) per legittimare le tue idee riguardo qualcosa. Ora, che le tue idee collimino in gran parte con le mie, non toglie che il tuo metodo sia una colossale stronzata.

7 09 2013
lostranoanello

Cioè parlare di quello che si deve fare o che è opportuno fare, parlare di quali siano i comportamenti migliori da seguire nella vita, secondo te significa parlare del niente? Tu non ne segui leggi? Tu non hai rapporti sociali con le persone che ti costringano a seguire codici di comportamento? Se è così allora stiamo parlando a vanvera, per te, e puoi anche non leggere. Ma in ogni caso si sta parlando almeno DI te, e ad altri capire perché ti comporti in un certo modo può interessare.
Oh, ricordiamo una cosa importante: c’è gente che su ADFSA rompe le balle perché mi vuole dire come e di cosa devo parlare. QUI parlo di quello che IO ritengo opportuno. Messo in chiaro questo punto, non tutti i discorsi sono basati su una descrizione della natura. La comunicazione, ti diranno tutti gli etologi (scienza, ti piace?) è uno strumento con cui si modifica il comportamento del prossimo in un modo a noi gradito. Non basta che io ti descriva in una formula come sia fatta la realtà perché tu adotti automaticamente un sistema di comportamento. Molti animalisti sanno che la sperimentazione animale serve, e ta-dà! Sono contro lo stesso. Mica si può passare la vita solo a parlare di quanto e utile, altrimenti faccio la reductio ad hitlerum, come te, e faccio notare che i nazisti sperimentavano sugli umani e per tanti era anche un metodo più efficiente. Siccome scientificamente funziona dobbiamo ricorrervi per forza?
Negli argomenti “pratici”, diciamo così, che hai tirato fuori: primo, il fatto che tu sia convinto che la società ci guadagna eliminando i membri con QI sotto il 100 è manifestamente sbagliato. Probabilmente tutti noi abbiamo un amico o un parente che non è una cima intellettuale e che ciò nonostante in un rapporto ha qualcosa da darci. Andy Wharol aveva un QI sotto il 100, se ben ricordo intorno al 70, ma ha dato al mondo un pezzo di storia dell’arte, chi l’ha detto che ci guadagnavamo perdendo Wharol, o Salinger, un altro illustre stupido con basso QI?
Poi se sei molto bravo potresti anche convincermi che in effetti dalla tua soluzione di eliminare quelli sotto il 110 c’è un gigantesco guadagno sociale rispetto alle perdite, e soprattutto che io dalla cosa non rischio niente (e non è detto, perché se un giorno si è deciso che quelli sotto il 110 sono da ammazzarsi, un giorno si potrebbe decidere che sono da ammazzarsi tutti quelli sotto il 160, e il mio 156 diventerebbe inutile), allora potrei anche convincermic he in effetti quel gesto è etico. Tu invece, come la maggior parte delle persone, ritieni che etico o non etico siano decisi a priori in qualche modo. Ovvero sei allo stesso livello di ragionamento degli animalisti, che è più o meno questo qua –> https://lostranoanello.wordpress.com/2013/01/19/lo-scientista-da-birreria-degli-amici/
La mia posizione, che conosci solo superficialmente ma hai già cassato, è che il quadro dei valori individuali è stabilito attraverso le emozioni e i sentimenti individuali, ma poi questo quadro deve essere trasceso attraverso valori collettivi e condivisi per dare origine ad un’etica, e ciò avviene in virtù di un processo dialettico, non in virtù di qualche proprietà magica a priori in grado di conferire a un vivente il diritto alla vita (che poi in realtà è solo il diritto a non essere ucciso da un essere umano, non il diritto alla vita).

7 09 2013
elkurdt

“i sistemi (morali) devono essere valutati esclusivamente nel merito reale, ovvero nel merito della tutela che essi offrono alla società che li formula”

Con questo tipo di “morale” posso giustificare parecchie cose, per esempio massacrare una minoranza, perché no?

In qualsiasi società ci sono minoranze che rappresentano misure attorno al 10% della società, spesso queste minoranze sono assolutamente isolate rispetto al resto, quindi non c’è neppure il rischio che vengano feriti i “sentimenti” della maggior parte della maggioranza. D’altro canto si otterrebbe un aumento delle risorse disponibili e una ridotta pressione demografica, un aumento. Io dico che è un vantaggio pratico non da poco, e che secondo la tua interpretazione della “morale” è accettabile.

Puoi dirmi che il sentimento di disgusto che potrebbe provocare un’ampia parte della maggioranza sarebbe un “danno” per la società, e quindi non bisognerebbe ammazzarli per questo, ma se facciamo passare questa seconda possibilità, significa che dobbiamo accettare anche “i sentimenti” come degni di valutazione, e allora dobbiamo accettare anche i lai e le strilla degli animalisti come accettabili.

“Cioè parlare di quello che si deve fare o che è opportuno fare, parlare di quali siano i comportamenti migliori da seguire nella vita, secondo te significa parlare del niente? Tu non ne segui leggi? Tu non hai rapporti sociali con le persone che ti costringano a seguire codici di comportamento?”

Ho scritto che parlare di etica non non è altro che un opinione, sei tu a metterla giù come se fosse un fatto. Come hai scritto tu, tralaltro, l’etica è un contratto fra le parti. “questo quadro deve essere trasceso attraverso valori collettivi e condivisi per dare origine ad un’etica, e ciò avviene in virtù di un processo dialettico,” e sono parzialmente d’accordo.

Perché l’etica allora non è solo il contratto fra le parti, ma è anche un contratto su come le parti dovranno comportarsi in generale. Questo significa che, anche se le idee animaliste non ti piacciono, devi considerarle etiche. E se provi a dire che non sono etiche perché producono danno all’umanità, finisci dritto alla casella A.

Hai usato il Cattel? ^^

8 09 2013
lostranoanello

Credo potresti trarre giovamento dalla lettura della mia discussione con Francesco, dove tutte queste questioni sono già state affrontate. Se permetti mi scoccia un po’ ripetermi.

8 09 2013
lostranoanello

PS: se non sbaglio era la Weschler. Comunque per evitare ambiguità di solito preferisco usare i percentili. Sono un po’ dopo il 99esimo percentile.

8 09 2013
elkurdt

Avevo già letto la conversazione e stavo aspettando la risposta all’ultima parte, che per inciso, mi trova quasi perfettamente d’accordo, in particolare riguardo la questione dei dati “oggettivi”. Non puoi certo definire oggettivo qualcosa che vedi soltanto tu, anche se lo vedi in continuazione. Altrimenti avremmo un sacco di schizofrenici candidati al nobel.

Aspetto in ogni caso la risposta a lui.

8 09 2013
lostranoanello

Be’, è arrivata, anzi due 😛

8 09 2013
elkurdt

Okay, ho letto la risposta. Il che ha fatto solo aumentare i miei dubbi.

1) Rispondi che: “filosoficamente il tuo è un discorso che non regge, ma a tuo merito dirò che molti filosofi lo portano avanti comunque. Fintanto che non diventi strettamente necessario affrontarlo per parlare di etica, preferisco soprassedere. ”

Ma non dici perché non regge. Mi sembra perfettamente sensato che per definire qualcosa “dato oggettivo” esso debba essere condiviso. Il motivo per cui abbiamo inventato degli strumenti di misurazione (e praticamente tutte le teorie) e proprio per scremare la maggior parte delle idee di persone che vedevano maiali verdi svolazzare.

2) Citi la teoria dei giochi (immagino che tu ti riferisca a giochi collaborativi a somma diversa da zero e informazione perfetta per tutti i giocatori) dicendo che collaborare generalmente è conveniente (ed è vero) ma stiamo comunque parlando di “giochi mentali”. Gli esseri umani non sono razionali (non completamente) e sopratutto, non dispongono di un informazione perfetta (senza dimenticare che, non conoscendo il numero di “partite” da giocare, si trovano quasi sempre nella situazione di doverti inculare per non perdere). Tu stesso criticavi i giochi mentali dove sia necessario ipotizzare scenari irrealizzabili. Ecco, questo è irrealizzabile, almeno quanto la possibilità che tu ti trasformi in un animale.

C’è qualcosa nel tuo modo di ragionare, scusa se te lo dico, di fastidioso. Perché inverti cause e effetti. La frase : “Non è importante se la terra sia tonda o non lo sia, l’importante è far funzionare i satelliti” non ha senso. Se non sai che la terra è rotonda, non puoi lanciare nessun satellite.

8 09 2013
elkurdt

Che poi ho anche seguito il tuo discorso sull’etica, quello che mi sfugge è quello che intendi tu, per etica. Perché se non discrimina tra bene e male, non è etica. Mi pare di aver capito che, dal tuo punto di vista, “buono” è per una società tutto quello che permette a questa società di “migliorare” (e anche qui devo ammettere che sarei in difficoltà sul significato di “migliore”)

Giusto per restringere il campo, poi sono anche le sei del mattino e sono mezzo rincoglionito, quindi perdonami se mi ripeto, ma sono curioso. E non certo per darti addosso.

8 09 2013
lostranoanello

1) Come dicevo a Francesco, per me c’è un parallelismo assoluto fra la critica all’oggettivismo in fisica e la critica all’oggettivismo in morale.
Tuttavia si può discutere delle due cose separatamente, e visto che sostanzialmente il discorso sull’oggettivismo in scienza e metafisica è una delle questioni filosofiche più complesse della storia e mi obbligherebbe a tirare fuori un repertorio di argomenti sconfinato, preferisco concentrarmi sull’argomento iniziale, che era l’oggettivismo o realismo morale.

2) Si inverto cause ed effetti, o dal mio punto di vista, scopro che in realtà quelle che i più pensano essere cause sono effetti e viceversa.
Tu pensi che puniamo gli assassini perché uccidere è sbagliato. Qualcuno ti chiederà perché è sbagliato, e qui sostanzialmente ti toccherà lavorare di fantasia: dire che è perché Dio lo vuole, oppure perché, come diceva la Hack, il Principio Morale lo vuole (il Principio Morale però resta una cosa astratta, non caratterizzata e non osservabile, non meno di Dio, anzi è una traduzione laica di Dio).
Non troverai il principio originale che discerne il giusto dallo sbagliato se non credi in Dio.
Io dico un’altra cosa invece: io dico che noi abbiamo deciso una regola per cui si puniscono gli assassini, e che la abbiamo per una ragione che non ha nulla a che fare con la morale comunemente intesa (in questo caso una serie di ragioni: ci immedesimiamo nella vittima, e inoltre in effetti c’è la possibilità che noi stessi o i nostri cari diventiamo vittime di un omicidio un giorno, dunque vogliamo essere protetti contro quella evenienza). Poi noi ci auto-osserviamo: notiamo che abbiamo questa tendenza a punire la violenza e l’omicidio, e ne deduciamo dunque che c’è un principio universale dietro, per la precisione un Principio Primo divino o pseudo-divino.Quello che facciamo a questo punto è cercare di capire la natura di questo Principio Primo divino.
E tuttavia questo approccio si dimostra SEMPRE fallimentare, perché questo Principio Primo non esiste affatto, non è innato e non è neanche conoscibili o studiabile razionalmente, semplicemente non esiste; come con Dio, ognuno si fa su di esso la propria idea, e questa idea non si può confutare né dimostrare, perché è una costruzione di fantasia.
Io riporto alla luce le vere ragioni. Se conosciamo le vere ragioni per cui ci comportiamo in questo o quel modo, e se conosciamo quelle degli altri, automaticamente abbiamo una base per decidere come comportarci e quali regole di comportamento formulare in futuro. Questo non significa che da questa base automaticamente discendano delle norme di comportamento; il lavoro per decidere le norme è ancora TUTTO da fare. Francesco mi critica dicendo che sulla base di questo sistema non puoi automaticamente stabilire una differenza fra giusto e sbagliato.
E’ il più grande complimento 😛
Se avessi fornito una simile regola universale sarei come tutti gli altri, che cercano di descrivere il Principio Primo. Io nel Principio Primo della Morale non credo, quindi è ovvio che non debbano esserci direttive assolute e universali a priori. Possono esserci DOPO che abbiamo formulato di comune accordo delle regole, e allora diciamo “abbiamo deciso così, adesso si fa così”, ma non ci sono direttive universali su come queste regole vadano formulate. C’è solo un dialogo, un incontro e uno scontro fra posizioni ed interessi personali. Da questo incontro-scontro emergono norme di comportamento.
Io partecipo attivamente al dibattito morale. Ma qui non stiamo facendo un dibattito morale, stiamo facendo un dibattito SULLA morale. Qui mi devo limitare ad osservare la morale, non devo interagirvi…

8 09 2013
elkurdt

Okay, ho capito. Tralasciamo allora il discorso sulla teoria dei giochi, che puo dimostrare l’utilità di un comportamento collaborativo solo in determinate situazioni (altrimenti dovremmo considerare utile e desiderabile anche un mercato perfetto dove, visto che tutti i giocatori sono razionali e omniscienti, conviene non mettere barriere di nessun tipo agli scambi). Ma basterebbe citare i tentativi di applicazione del Minimax durante la guerra fredda, risultato fallimentare (e rischioso!) proprio perché i giocatori tendevano a comportarsi in maniera non razionale. In molte situazioni sarebbe bastata una mancata comunicazione di stop, o un soldato che impazzisce, per far partire i missili.Quindi passo direttamente al resto.

1) Riguardo l’oggetivismo in fisica, sono assolutamente in disaccordo. Se decido di invertire cause ed effetti, mi ritrovo assolutamente con niente in mano, senza nessuna capacità predittiva. Potrei sostenere che non è la forza gravitazionale a far girare il pianeta attorno alla stella, ma il fatto che il pianeta giri che crea la forza gravitazionale, e non fa per me.

Riguardo la discussione sulla moralità, invece, sbagli completamente a credere quale sia il mio punto di vista, attribuendomene uno che considero ridicolo e assurdo.

Non credo che non si uccida perché questo sia sbagliato, io credo che non si uccida perché è sconveniente e perché siamo geneticamente programmati per avere più reticenza ad uccidere qualcosa che consideriamo “simile” a noi. Per questo i nazisti dovevano demonizzare gli avversari (e gli ebrei) e per questo, quasi tutti gli assassini vogliono dimostrare di aver fatto quello che hanno fatto per motivi validissimi (a detta loro). Sono convinto insomma che l’evoluzione abbia favorito tratti caratteriali che favoriscono la non uccisione se non in casi estremi.

Per la stessa ragione siamo portati (geneticamente) a riconoscere le emozioni di altri esseri umani, e persino a ricercarle in altri animali, a prescindere che siano “umani”, e nel momento in cui decidiamo che sono “simili” o “meno diversi degli altri” rispetto a noi, sicuramente.

Perciò, io non credo che ci sia tanto da “scegliere” né tanto da contrattare tra le varie parti, piuttosto credo che, come esseri umani, abbiamo un limitato range di scelte, e non “facciamo” granché individualmente. Ad esempio, non decidiamo di “non uccidere i bambini” perché potremmo “essere uccisi da bambini”, siamo già adulti! ma perché, in linea di massima, la faccina dei bambini ci sembra simpatica e carina, a prescindere quindi da qualsiasi logica razionale di “convenienza”.

Abbiamo sicuramente qualche “scelta” ma solo all’interno di una casistica molto limitata.
Tornando al discorso delle scimmie, che poi è quello che ci interessa, io credo che si possano dare “diritti” a qualsiasi cosa, persino a delle piante, se decidiamo, perché in se, la parola “diritti” non significa un cazzo di niente, se non quello che decidiamo noi di dargli. Perciò, se la maggior parte dell’umanità decidesse che le grandi scimmie devono avere più diritti rispetto che ne so, ai soliti topini del cazzo, per me sarebbe una scelta perfettamente morale e non avrei niente da obbiettare. Perché chi sono io per decidere qual’è l’interesse predominante della maggioranza? Posso essere in disaccordo, dire che è sconveniente, che preferisco salvare un bambino piuttosto che un topo. Ma visto che, come te, non credo ad un ordine superiore, non posso in alcun modo dimostrare che questo è “meglio”, perché se un animalista decide che per lui è meglio un topo, perché “meglio” lo decide lui. E non posso appellarmi a nessun “meglio” o principio di “utile” altrimenti devo decidere cos’è meglio al posto di altre persone, che non posso né capire né conoscere realmente.

E neppure tu.

9 09 2013
lostranoanello

Quello che dici ha problemi.
Primo problema: sei solo descrittivo. Al di là di quanto possa essere accurata la tua descrizione, è solo quello, una descrizione, e come tale non dà alcuna indicazione di comportamento, anzi, nega che tali indicazioni possano essere date.
Giustifichi tutto con un semplice istinto. Non nego che esista un istinto e che vada tenuto in conto, ma come società ci siamo evoluti fino a un punto tale in cui limitarsi a seguire l’istinto sarebbe praticamente suicida.
Non solo, la tua descrizione non è realmente neutrale: negando che comportarsi in un certo modo abbia più senso razionalmente che comportarsi in un altro, tu porti avanti, consapevolmente o inconsapevolmente, un punto di vista ben preciso: quello per cui la razionalità non serve nei comportamenti, e dunque siamo incitati all’irrazionalità.
Fino a un certo punto mi segui, dopo parti per strade un po’ assurde. Mi segui fino a quando diciamo che non c’è un principio assoluto del comportamento. Parti per la tangente quando neghi che possano esserci massime, direttive, consigli, valutazioni in grado di indirizzarci. Ci sono eccome, è per questo che gli umani sono i signori del pianeta, perché possono fare valutazioni razionali sul proprio comportamento.
Tu neghi l’esistenza di una dialettica, per te ci sono due assoluti: un polo soggettivo, quello che dice “il topo conta più di ogni cosa nell’universo perché conta di più per me”, e poi un polo assoluto, le leggi dello stato decise a maggioranza a cui tu ti piegheresti in qualsiasi circostanza (che non ci credo manco se lo vedo, onestamente. L’ha fatto solo Socrate, almeno a quanto sostiene Platone, e non sarà mai rifatto nella storia). E com’è nato questo polo assoluto? Io dico che c’è stata una contrattazione di mezzo. Non solo, io dico che ancora la contrattazione non è affatto finita, e c’è un sacco da riflettere e darsi da fare per contrattare ancora e ancora e ancora. Tu l’assoluto lo cali dall’alto ed è tutto lì. Peraltro ti contraddici dopo due righe: prima dici che non avresti nulla da obbiettare qualunque cosa la maggioranza della popolazione decidesse, due righe dopo dici che saresti in disaccordo. Quindi avresti da obbiettare. E dopo il tuo discorsone contro la morale e soprattutto contro il MIO sistema della morale basato sulla convenienza, di sicuro non mi sarei aspettato che ti consegnassi incaprettato all’accusa di incoerenza parlando di “sconvenienza”. Allora tu PUOI dare un giudizio di convenienza e lo fai. Normale, certo che puoi e lo fai, è ovvio, sei un essere razionale; una volta che ascolti tutte le voce sul campo puoi elaborare un accordo che sia in grado di fare contenti il più possibile di loro. Ti sfugge proprio l’aspetto dialettico-relazionale: io ho dei valori che per me possono essere “assoluti”, ma poi non ci sono solo io al mondo, e nel confronto con gli altri saranno immediatamente relativizzati.
E tuttavia delle norme di convivenza comuni dovranno emergere lo stesso da questo caos di miserabili assoluti, da questa selva di mortali che si credono dei ad un qualche equilibrio si giungerà per forza. E in questo processo di equilibrazione ogni uomo ha un ruolo attivo e direttivo che non può eludere, perché eludere significa solo delegare ad altri…

10 09 2013
elkurdt

Ultimo appunto. Ho riflettuto un attimo su quello che succede nella società, e mi sento in dovere di sostituire la parola “contrattazione” con “lotta”, visto che non succede quasi mai che due persone contrattino una vittoria o una sconfitta di qualsiasi tipo, ma in generale, si scontrino per vedere chi ha “ragione”.

Perché anche i ceffoni sono un modo di costruire un ordine morale.

10 09 2013
elkurdt

Francamente ho riletto tre volte quello che hai scritto, e la prima reazione sarebbe stata quella di scriverti solo “rileggi quello che ho scritto”.

L’unica cosa che mi sento di dover precisare ulteriormente è quel:

“Perciò, se la maggior parte dell’umanità decidesse che le grandi scimmie devono avere più diritti rispetto che ne so, ai soliti topini del cazzo, per me sarebbe una scelta perfettamente morale e non avrei niente da obbiettare.”

Intendevo chiaramente che non avrei avuto niente da obbiettare al fatto che la maggioranza avesse deciso di prendere quella posizione, NON che non avrei tentato di modificare la situazione. Ma scommetto che lo avresti potuto capire anche da solo, se avessi voluto.

Non ho neppure mai scritto (né pensato) che non esista nessun comportamento razionale, dove l’avresti letto? Ho solo detto che abbiamo un LIMITATO range di scelte, possiamo decidere “come” arrivare da qualche parte, ma non “perché”. Il motivo è che siamo esseri umani, abbiamo (ognuno a modo suo) un patrimonio genetico che ci spinge in determinate direzioni. Non si sceglie il proprio orientamento sessuale, non si sceglie se ci piace il dolce o il salato, non si sceglie praticamente UN CAZZO delle cose importanti. Quello che scegliamo è solo come arrivare ad ottenere quello che ci piace. Ma quello che “ci piace” e per cui siamo disposti a muoverci, è deciso (quasi) in partenza, ma non solo! Anche mentre ci dirigiamo, convinti di essere “razionali” verso un fine, il nostro background genetico ed emotivo ci sbatte avanti e indietro, rendendoci impossibile, fare una scelta completamente razionale.

Detto questo, rispondo a quello che hai detto:

1) Primo problema: sei solo descrittivo. Al di là di quanto possa essere accurata la tua descrizione, è solo quello, una descrizione, e come tale non dà alcuna indicazione di comportamento, anzi, nega che tali indicazioni possano essere date.

Si, sono “descrittivo” e quindi? Quello che c’è c’è, quello che non c’è non c’è, poco da aggiungere. Ma non nego che si possano dare indicazioni su quello che si può o non può fare, nego semplicemente che le ragioni del nostro comportamento vengano smosse di molto grazie a queste “indicazioni”. Posso dare un indicazione su “come” fare qualcosa, o anche “perché” farla, ma non mi aspetto granché. Del resto se la gente fosse ragionevole, e perseguisse gli stessi obbiettivi che perseguo io, mi avrebbe già ascoltato su innumerevoli cose. Ma guarda un po’, questi bizzarri esseri vogliono fare di testa loro.

2) “Giustifichi tutto con un semplice istinto. Non nego che esista un istinto e che vada tenuto in conto, ma come società ci siamo evoluti fino a un punto tale in cui limitarsi a seguire l’istinto sarebbe praticamente suicida.”

Non ho giustificato “tutto” il comportamento, ma la maggior parte del comportamento umano è semplicemente istintivo, non c’è bisogno di girarci attorno.

3) “Non solo, la tua descrizione non è realmente neutrale: negando che comportarsi in un certo modo abbia più senso razionalmente che comportarsi in un altro, tu porti avanti, consapevolmente o inconsapevolmente, un punto di vista ben preciso: quello per cui la razionalità non serve nei comportamenti, e dunque siamo incitati all’irrazionalità.”

Qui nuovamente fraintendi. Io credo che la razionalità serva, ma nella larghissima maggioranza dei casi non c’è traccia di razionalità nei comportamenti umani, né negli scopi (che ripeto, secondo me sono presistenti) né nelle metodologie (sulle quali abbiamo qualche potere).

E perché poi la mia descrizione dovrebbe essere neutrale? Io credo che la mia interpretazione della realtà non modificherà il comportamento degli altri, non “inneggio” a un bel niente.

4) “Mi segui fino a quando diciamo che non c’è un principio assoluto del comportamento. Parti per la tangente quando neghi che possano esserci massime, direttive, consigli, valutazioni in grado di indirizzarci. Ci sono eccome, è per questo che gli umani sono i signori del pianeta, perché possono fare valutazioni razionali sul proprio comportamento.”

Uh? massime/consigli/direttive = “fare valutazioni razionali sul proprio comportamento”?” secondo che logica?

Ma in ogni caso, se gli esseri umani fossero razionali e capaci di ottenere risultati (importanti)razionali condivisi tramite contrattazione e dialogo, non saremmo sette miliardi (in aumento) con il rischio di distruggere il pianeta che sostenta tutti. Mi sembra più una capsula di Petri che un comportamento razionale.

5) Tu neghi l’esistenza di una dialettica, per te ci sono due assoluti: un polo soggettivo, quello che dice “il topo conta più di ogni cosa nell’universo perché conta di più per me”, e poi un polo assoluto, le leggi dello stato decise a maggioranza a cui tu ti piegheresti in qualsiasi circostanza (che non ci credo manco se lo vedo, onestamente.

Non nego l’esistenza di una dialettica, ovviamente la comunicazione esiste, come potrei negarla? Non ho neppure mai detto che mi piegherei, come spiegato all’inizio della risposta. Ma come al solito preferisci raccontarmi come la penso, invece di leggere.

“E dopo il tuo discorsone contro la morale e soprattutto contro il MIO sistema della morale basato sulla convenienza, di sicuro non mi sarei aspettato che ti consegnassi incaprettato all’accusa di incoerenza parlando di “sconvenienza”

Di nuovo, citami dove io ho detto che sia qualcosa di diverso dalla “convenienza” a guidare il comportamento. Io ho solo detto che non è qualcosa di razionale (in linea di massima) . Ma il fatto che non sia razionale, non significa che non sia conveniente per la sopravvivenza del singolo. Il Dna si è evoluto casualmente, non certo in maniera razionale, o per contrattazione, eppure ha ottenuto ottimi risultati.

“Allora tu PUOI dare un giudizio di convenienza e lo fai”

Taa-DAAAAAANN! Embè?

“una volta che ascolti tutte le voce sul campo puoi elaborare un accordo che sia in grado di fare contenti il più possibile di loro. Ti sfugge proprio l’aspetto dialettico-relazionale: io ho dei valori che per me possono essere “assoluti”, ma poi non ci sono solo io al mondo, e nel confronto con gli altri saranno immediatamente relativizzati.
E tuttavia delle norme di convivenza comuni dovranno emergere lo stesso da questo caos di miserabili assoluti, da questa selva di mortali che si credono dei ad un qualche equilibrio si giungerà per forza. E in questo processo di equilibrazione ogni uomo ha un ruolo attivo e direttivo che non può eludere, perché eludere significa solo delegare ad altri”

E ribadisco, EMBE’? Non ho mai detto che un essere umano non sia capace di essere (limitatamente) razionale nei mezzi che utilizza per ottenere degli scopi, ritengo che quegli scopi NON SIANO RAZIONALI, e anche sui mezzi c’è parecchio da discutere. Ma se tu rilegessi quello che ho scritto senza cercare la uh “contraddizione” (che per inciso, non c’è) scopriresti che sono d’accordo che gli esseri umani possano trovare “accordi” (come ho già detto, hanno un range, per quanto limitato, di scelte!) ma il problema è che quello che li guida sono ben altre cose, molto meno razionali.

“E tuttavia delle norme di convivenza comuni dovranno emergere lo stesso da questo caos di miserabili assoluti, da questa selva di mortali che si credono dei ad un qualche equilibrio si giungerà per forza. E in questo processo di equilibrazione ogni uomo ha un ruolo attivo e direttivo che non può eludere, perché eludere significa solo delegare ad altri”

Certo. Ma ancora una volta, non c’è niente di logico in tutto questo. Posso mescolare delle pietre di diverse dimensioni, si incastreranno in una struttura, ma non ci vedo niente di intenzionale.

E per finire ti ripeto la stessa cosa che ti avevo detto alla fine del post precedente :

Tornando al discorso delle scimmie, che poi è quello che ci interessa, io credo che si possano dare “diritti” a qualsiasi cosa, persino a delle piante, se decidiamo, perché in se, la parola “diritti” non significa un cazzo di niente, se non quello che decidiamo noi di dargli. Perciò, se la maggior parte dell’umanità decidesse che le grandi scimmie devono avere più diritti rispetto che ne so, ai soliti topini del cazzo, per me sarebbe una scelta perfettamente morale e non avrei niente da obbiettare. Perché chi sono io per decidere qual’è l’interesse predominante della maggioranza? Posso essere in disaccordo, dire che è sconveniente, che preferisco salvare un bambino piuttosto che un topo. Ma visto che, come te, non credo ad un ordine superiore, non posso in alcun modo dimostrare che questo è “meglio”, perché se un animalista decide che per lui è meglio un topo, perché “meglio” lo decide lui. E non posso appellarmi a nessun “meglio” o principio di “utile” altrimenti devo decidere cos’è meglio al posto di altre persone, che non posso né capire né conoscere realmente. ”

Tu stesso hai scritto: “gli animali non stanno dentro all’ordine morale” perché non possiedono la capacità ” pratica, reale, immediata di stare nella società come membri attivi e costituenti.”

Ma visto che una buona parte della società la pensa in maniera diversa, e pensa che le bestie stiano all’interno dell’ordine morale, non c’è discussione che tenga, visto che tu stesso riconosci il valore contrattato della moralità devi riconoscere che le bestie stanno all’interno dell’ordine morale.

Nota ancora che la mia personale concezione di “morale” è definita dalle emozioni individuali, il fatto che la gente faccia questo o quello è legato SOPRATUTTO a quello che preferiscono e se trovano un accordo su quello che si fa, non è perché abbiano trovato un accordo su quello che “è giusto fare” semplicemente non possono imporre la loro idea. Quello che è giusto fare rimane lo stesso, semplicemente non si può imporre il proprio punto di vista perché, magari, si rischia la vita.

10 09 2013
lostranoanello

“Intendevo chiaramente che non avrei avuto niente da obbiettare al fatto che la maggioranza avesse deciso di prendere quella posizione, NON che non avrei tentato di modificare la situazione.”

E allora che vuol dire con “non ho nulla da obbiettare”? Hai da obbiettare eccome. Il problema che rende difficile il discorso morale secondo me è sempre il solito, e cioè che si parla di giusto, sbagliato, di rimproveri, biasimo, obiezioni eccetera eccetera, ma di queste astrazioni poi sfugge la componente pratica.
Faresti di tutto per cambiarlo. Lo riterresti sconveniente. Sei in disaccordo. E be’, allora a tutti gli effetti pratici vuol dire che lo ritieni immorale! O stiamo parlando del sesso degli angeli, scusa?
Possiamo ben dire che il generale concetto astratto di giusto allora non ha alcun senso e giusto e sbagliato non esistono. Semantica, possiamo anche dirlo, per me, ma resta il fatto che quando discutiamo di “come ci si comporta” si parla comunque di qualcosa che ha un senso e si può discutere razionalmente. Eliminiamo pure “giusto” e “sbagliato”. Eliminiamo pure la parola “morale”. Ok, però resta da decidere come comportarsi, e ci saranno comportamenti appropriati rispetto ai fini e comportamenti idioti.
Quando scrivi:

“Ho solo detto che abbiamo un LIMITATO range di scelte, possiamo decidere “come” arrivare da qualche parte, ma non “perché”.

Forse pensi di star dicendo qualcosa di nuovo che i filosofi idioti e soprattutto io non abbiamo capito. Be’, è esattamente quello che scrivevo qui https://lostranoanello.wordpress.com/2011/08/03/etica-ii/
citando l’Etica a Nicomaco di Aristotele, e quotandola fra l’altro come una delle migliori descrizioni mai fatte del comportamento morale. È chiaro che come diceva Schopenhauer l’uomo può fare quello che vuole, ma non volere quello che non vuole. Ma tu definiresti la scelta sul “come” perseguire ciò che si vuole una casistica ristretta? È semplicemente immensa, sconfinata, supercomplessa! Non è che l’animalista che dice “non voglio che si faccia del male ai pelosetti” e riesce a far abolire la sperimentazione animale ha finito lì. Quando poi lui si ammalerà non avrà le cure. Quando poi vorrà la bistecca (la maggior parte degli “antivivisezionisti” poi è carnivora), si troverà un animalista più serio di lui che lo richiamerà alla coerenza e gli farà fare la figura dello scemo. E ho citato solo due effetti immediati per cui il suo perseguire l’interesse A (salvare gli animalucci) contrasta con i suoi interessi B e C. Ma ci saranno anche un effetto D, un effetto E, e via discorrendo. Se vuole davvero perseguire i propri fini, deve tenere conto che tutte le azioni sono intrecciate e creano conseguenze complesse e ragionarci su. Questo è il ruolo del ragionamento “morale” che io porto avanti; poi se non vuoi chiamarlo “morale” chiamalo in qualche altro modo.
Tu ti limiti a dire che la gente questi calcoli non li fa. Ovvero, che “la maggior parte dei comportamenti umani” è basata sull’istinto. È un’ipotesi, ma un’ipotesi tutta da dimostrare. Per di più è assolutamente vaga (non specifica quali comportamenti sarebbero dominati dall’istinto e quali no, quali tipologie di persone sarebbero più schiave dell’istinto e quali no, né spiega quale sia la differenza che ha concesso all’uomo di essere la specie dominante, se la ragione non influenza il suo comportamento) e soprattutto continua ad eludere la domanda di prassi: come mi comporto io? Tu suggeriresti di comportarsi come? C’è un modo più sensato di comportarsi? È possibile trovare delle regole comuni per gestire una società civile?
È facilissimo descrivere, con aria lamentosa o viceversa entusiastica, che le cose stanno così e devono essere così perché sono il frutto delle condizioni di partenza. Questo lo faceva anche Hegel e non è una novità: le cose stanno così perché stanno così. Applausi entusiastici, minchia che scopertona XD
Ma non c’è solo il passato, c’è anche il futuro e in gran parte dipende da me, io ho un peso sul futuro, e mi comporterò in modo sensato ed orientato rispetto al futuro.
Tu dici che la gente non lo fa? Opinabile, diciamo che non lo fa sempre. Questo non significa che non sarebbe desiderabile, e non sarebbe UNIVERSALMENTE desiderabile che la gente lo facesse, che non sia meritevole di sforzo il compito di portare la gente a farlo.
E se è desiderabile che lo faccia, se è meritevole di sforzo l’atto di portare l’umanità in quella direzione, se è biasimevole chi invece coltiva attivamente l’irrazionalità e la violenza inutile, allora stiamo descrivendo una morale, o quanto meno la cosa fisicamente esistente più simile alla morale che possa esserci.

Infine
Tu stesso hai scritto: “gli animali non stanno dentro all’ordine morale” perché non possiedono la capacità ” pratica, reale, immediata di stare nella società come membri attivi e costituenti.”
Ma visto che una buona parte della società la pensa in maniera diversa, e pensa che le bestie stiano all’interno dell’ordine morale, non c’è discussione che tenga,

Una piccola puntualizzazione, che saraà poi seguita da una grossa: quando dico che stanno fuori dall’ordine morale non faccio una prescrizione, dico semplicemente come stanno le cose: gli animali rispetto all’ordine morale sono passivi. Si può dire che stanno nell’ordine morale nel senso che l’ordine morale li riguarda, ma riguarda anche oggetti, piante, minerali, batteri e virus, perché ci sono norme che riguardano il comportamento degli umani nei confronti di tutte queste cose. Questo non significa che batteri e piante abbiano un RUOLO, esercitino una dialettica nell’ordine morale, lo subiscono. Questa è una realtà che nessun animalista sulla terra può cambiare, una realtà fattuale che abbatte inesorabilmente l’impianto teorico dell’antispecismo come viene usualmente presentato. Che poi possano esserci e di fatto già ci siano regole comunitarie e sociali riguardanti il comportamento nei confronti degli animali è ovvio, ma non è di questo che stavo parlando.
Che poi non ci sia discussione che tenga… ma che vuol dire? Cioè, in parte è una tautologia, se sono così forti da imporsi su di me io sarò schiacciato. Sì, questo è banale, è una pura descrizione dei fatti e “non c’è discussione che tenga”, ma manca la valutazione comportamentale, non significa che debba valutare “bene” quella situazione o che davvero porti il bene di chi mi opprime. La valutazione comportamentale è che con ogni probabilità questo comportamento andrà a boomerang a ledere gli interessi di chi lo porta avanti, in primo luogo e per quanto riguarda gli effetti sociali, e in secondo luogo comunque incontrerà la mia disapprovazione e il mio tentativo di cambiarlo. Come sarebbe che non c’è discussione che tenga? In ambito valutativo e di progettazioni del comportamento c’è tantissimo da discuterne, altroché!

10 09 2013
elkurdt

Per essere uno che si definisce “immoralista” fai un uso spropositato di termini come “bene” e “male” riferito anche ad altre persone di cui non puoi conoscere gli obbiettivi.

“UNIVERSALMENTE desiderabile” addirittura! “meritevole”! ^^ E poi

“non significa che debba valutare “bene” quella situazione o che davvero porti il bene di chi mi opprime.” Il bene di chi ti opprime e scelto esattamente solo da quello che ti opprime. Per me un masochista è un povero stronzo, eppure a lui piace. Io non lo farei. Stop.

Il fatto che un tizio decida di andare contro la vivisezione e quindi, in futuro decidere di rimanere senza medicine, sono scelte sue, non è un “bene” o un “male” per lui, sono solo scelte che probabilmente non avrebbe potuto non fare.

Ti scrivo l’ultima cosa, che poi mi sono anche annoiato. Tu dici che sono solo descrittivo (e lo prendo come un complimento) e che considero inutili le “massime” e i consigli, e ti sbagli. Io credo che siano utili, ma non credo nella possibilità di scelta, non credo che ci sia questa cosa che chiami: “scelta” in senso stretto. Sicuramente facciamo qualcosa che chiamiamo “scelta” ma la scelta presuppone un’alternativa, e quello che penso io, è che quell’alternativa non esista.

“È facilissimo descrivere, con aria lamentosa o viceversa entusiastica, che le cose stanno così e devono essere così perché sono il frutto delle condizioni di partenza. Questo lo faceva anche Hegel e non è una novità: le cose stanno così perché stanno così. Applausi entusiastici, minchia che scopertona XD
Ma non c’è solo il passato, c’è anche il futuro e in gran parte dipende da me, io ho un peso sul futuro, e mi comporterò in modo sensato ed orientato rispetto al futuro.”

Non pretendo certo di aver scoperto qualcosa di nuovo. Secondo te esiste la possibilità che tu ti comportassi in maniera diversa da come poi in effetti ti sei comportato, secondo me invece no, di conseguenza non c’è nessuna reale influenza sul futuro, perché quello che sei e farai non cambierebbe, anche se tu ne sei convinto.

E attenzione, non dico che il fatto che tu dia per esempio, un consiglio, possa far cambiare il comportamento di un altro, sto dicendo che farlo non è una tua scelta, nel senso che non avevi alternativa ad essere quello che sei, e a comportarti come ti sei comportato.

Tu dirai che è un opinione indimostrabile, e per adesso, almeno su scala umana, è perfettamente vero, non si può simulare niente che assomigli ad una rete neurale di dimensioni simili, figuriamoci poi dover simulare anche tutto l’ambiente che interferisce (e ha interferito) con quella stessa rete in passato, senza dimenticare che basterebbe pochissimo per modificare anche l’ambiente di test, aggiungendo rumore alla simulazione. Ma in futuro credo si possa fare.

Tu vivi la tua vita “razionalmente” (almeno secondo te e secondo i tuoi scopi) perché non potresti fare nient’altro. Non potresti scegliere di fare altro perché sei quello che sei, magari un giorno ti capiterà qualcosa che modificherà questo comportamento, ma non ci vedo niente di “meritevole” in questo, tu dirai che sono descrittivo, io ti dirò che si, lo sono.

E ti dirò di più,continuerò a fare cose come se avessi un potere sul mio futuro, programmerò, discuterò, giocherò a scacchi e tutto il resto, ma so di non avere nessuna “scelta” reale in tutto questo, e una società non ha più “contrattazione” di un mucchio di pietre di forma diversa che vengono agitate in un sacco.

E con questo ho finito. Ciao, grazie per la discussione. Mi è servita per riflettere, in ogni caso.

10 09 2013
lostranoanello

“Il bene di chi ti opprime e scelto esattamente solo da quello che ti opprime.”

Questo non è vero. Magari fosse così semplice per ognuno sapere il proprio bene… ognuno sa sicuramente quello che vuole, ma non sa ciò che lo renderà felice. Né, tanto meno, sa come deve muoversi per ottenerlo, quindi è facilissimo che faccia delle scelte che lo rendano infelice, soprattutto se si muove di puro istinto in una situazione ipercomplessa e in cui le conseguenze non sono solo immediate ma a lunghissimo termine.

Il resto non è così strabiliante, è una critica al concetto di libero arbitrio. Non è indimostrabile, è semplicemente sbagliata, questo perché determinismo vuol dire prevedibilità dei comportamenti, e non è possibile prevedere il proprio comportamento, ma solo attuarlo. Dal punto di vista dell’osservatore, il proprio comportamento non è mai deterministico, egli elabora le informazioni e opera dunque scelta.
C’è una certa qual ipocrisia nei critici radicali del libero arbitrio, che è appunto quella di sostenere di non avere libero arbitrio, e poi comportarsi esattamente come un ente dotato di libero arbitrio. che programma, discute, gioca a scacchi e via dicendo. Se programma, discute, gioca a scacchi e via dicendo allora fare tutte queste cose ha un senso, e dunque ha un senso anche discutere di come farle.

Alla prossima.

10 09 2013
elkurdt

“E attenzione, non dico che il fatto che tu dia per esempio, un consiglio, possa far cambiare il comportamento di un altro, sto dicendo che farlo non è una tua scelta, nel senso che non avevi alternativa ad essere quello che sei, e a comportarti come ti sei comportato. ”

Volevo scrivere “non possa far cambiare” ovviamente.

6 09 2013
Francesco

*fondamentale.

6 09 2013
Francesco

Ho letto. E condivido anche il senso generale. In particolare, mi sembra di trovare il centro di coerenza del discorso quando affermi:

«La morale non è reale, come dimostrato proprio dal fatto che chiunque la vede sostanzialmente come vuole o come la sua società e la sua educazione gli impongono. Il realismo morale è sostanzialmente quella teoria per cui ci sono cose giuste a priori. Dove stanno le norme che lo stabiliscono non si sa… Una cosa reale è una cosa che si deve scoprire, e dunque deve stare da qualche parte, pronta ad essere osservata; la morale invece è una cosa che inventiamo, è un processo attivo, e bene e male sono costruiti, non ci sono a priori.»

Però è anche vero che tu scrivi questo, a proposito dei bambini:

«Puoi senz’altro dargli il diritto a non essere ucciso, e secondo me è opportuno farlo, ma non sempre nella storia è stato fatto quindi anche quella, come tutte le scelte morali, è solo un’opzione e non una necessità».

Vorrei sapere perché senti la necessità di specificare che, secondo te, «è opportuno» dare diritti ai bambini e agli animali no. Su cosa basi questa opportunità? Sarebbe ipotizzabile (ipoteticamente) sperimentare sui neonati per curare gli adulti?
Alla fine, se si tratta solo di un contratto morale e di una morale costruita attraverso processi creativi, potrebbe benissimo anche accadere che una maggioranza (umana) più forte decida di sfruttare schiavisticamente una minoranza (umana) più debole. In passato è succcesso e in certi casi succede tutt’oggi. Secondo te è “giusto” e/o “inevitabile”? Non dico di non essere d’accordo con te…però un certo senso di tristezza o di insoddisfazione per la condizione umana rimane 🙂

6 09 2013
lostranoanello

Vuoi che ti elenchi i motivi per cui lo ritengo in opportuno? Sono soprattutto due, ma probabilmente altri possono essere proposti:
– Senso di compassione e sentimento di umanità.
La morale non è stabilita univocamente dai sentimenti, ma un senso morale si avvale quasi sempre dei sentimenti per concretizzarsi. Se vogliamo alimentare un senso di rispetto reciproco fra i membri della società, allora il “principio” dell’umanitarismo dà grandi risultati.
– Riproduzione sociale
I figli una volta cresciuti diventano membri attivi della società e possono ricambiare quanto hanno ricevuto da piccoli.

6 09 2013
Francesco

Mi aspettavo queste obiezioni, che poi sono le consuete nel tipo di sistema filosofico che tu costruisci. Sono sostanzialmente principi utilitaristici (anche se forse tu dirai di no): soddisfare alla proprio senso di compassione; garanzia di sostengno nella vecchiaia. Sono principi sicuramente veri (nel senso che sì, è vero che muovono il comportamento umano), ma che non è detto funzionino sempre. Il secondo innanzitutto non è affatto certo. Chi ti dice che i tuoi figli non ti molleranno in un ospizio o, magari, cercheranno di ammazzarti per ereditare prima?

Ma immagino che l’elemento più solido sia il principio di compassione, che, per inciso, è proprio quello che muove molti degli animalisti che entrambi avversiamo («Che bel cagnolino. Ammazza quello scarafaggio schifoso!»). Oggi è sentimento comune provare compassione per i bambini e tutelarli, ma in passato (e ancora oggi in alcune parti del mondo: vedi la pratica del caning a Singapore). non era così ed era considerato giusto prendere a cinghiate (o a bacchettate) un bambino a scopi educativi. Magari in futuro “regrediremo” e il nostro senso di compassione si eclisserà… Oppure, il nostro senso di compassione si estenderà e daremo sempre più diritti agli animali proprio su questa base! E poi percché dovrei volere «il rispetto reciproco fra i membri della scoietà»? Se fossi straricco e strapotente, perché dovrei fregarmene del rispetto per i più deboli? Molti questo senso morale non sembrano averlo 🙂

In conclusione, il sistema che hai costruito mi sembra logico e funzionante in teoria. Però alla fine rientra in campo il caro vecchio sentimento morale, che almeno dal Settecento a oggi fa da paciere e appiana ogni impervietà e, di fatto, lascia aperta ogni porta, animalismo compreso.

Ma probabilmente sbaglio.

6 09 2013
lostranoanello

Il discorso che fai su dove la cosa fallirebbe ha un senso, ma ha un senso a posteriori. Io scommetto che i miei figli mi tradiranno, e dunque li tratto male fin dall’inizio. Potrei azzeccarci, perché no? Ma… è anche una self fulfilling profecy: se li tratto male è più difficile che provino compassione per me.
A PRIORI, conviene molto di più che io li tratti bene, è più facile che loro trattino bene me così.
I nostri comportamenti morali sono sempre scommesse: scommettiamo che ne ricaveremo qualcosa. In teoria dei giochi è facile dimostrare che nel lungo termine, la strategia più razionale è scommettere che saremo ricambiati, almeno nella maggior parte dei casi. Ogni tanto ce la prenderemo in culo, e magari ogni tanto ci converrà essere noi i bastardi. Ma in generale il perfetto menefreghismo è una scommessa che A PRIORI è fatta male. A posteriori, anche una scommessa folle o avventata una volta su mille pagherà, ma io non la suggerirei a nessuno.
Riguardo al ruolo della compassione, mi trascinerebbe in un’altra questione che non ho mai affrontato dal punto di vista formale, ovvero la valutazione dei sentimenti e delle emozioni. Le emozioni forniscono il quadro base dei valori che ci permette di valutare poi i nostri interessi, mentre la ragione poi valuterà quali comportamenti soddisferanno meglio detti interessi. Questo schematismo è esatto di base, ma va focalizzato meglio: i sentimenti non sono tutti uguali, non tutti hanno la stessa influenza nella nostra vita, e le relazioni fra i vari sentimenti sono complesse. In particolare nel momento in cui io stabilissi di dare assoluta priorità ad un sentimento di compassione verso una generalità di animali che non ho mai visto né conosciuto, ad esempio vietando la sperimentazione animale, in contemporanea offenderei il sentimento di compassione verso i malati in cerca di cure e verso la passione degli scienziati per la ricerca. Questo effetto complesso ricadrebbe su di me, se poi avessi un amico scienziato o un amico malato, o se io stesso mi ammalassi. La motivazione compassionevole esiste, non si può sradicare e nemmeno c’è interesse a sradicarla, anzi, c’è un certo interesse a coltivarla. Ma rispetto alle relazioni con tutte le altre pulsioni dell’animo umano, essa rischia, come sempre accade quando si va ad un eccesso, di diventare disfunzionale.

6 09 2013
Francesco

Tornando ancora a D. Hofstadter, è interessante notare che lui, come te, giustifica il rispetto per i bambini con il fatto che essi possiedono “graziosità” (quindi un che di irrazionale, di sentimentale). Problema: su basi anloghe giustifica poi anche il proprio vegetarianesimo!

6 09 2013
lostranoanello

E’ una risposta onesta. E’ la stessa che mi diede Serena Contardi di Asinus Novus…
qui le rispondo 🙂

Continua il dibattito con “Asinus Novus”


Non è necessario che leggi tutto il dibattito, per quanto attiene a questo specifico argomento.

7 09 2013
Francesco

Ho letto e devo dire che su certi punti concordiamo. Cercherò ti rispondere in modo schematico.

1) Per quanto riguarda la questione della riproduzione sociale, hai ragione: il mio ragionamento va valutato a posteriori. Ma anche il tuo ragionamento a priori non ha valore assoluto. Certo, oggi sembra più convenieente trattare bene i propri figli nella plausibile speranza di essere contraccambiati in futuro. Ma bisogna anche considerare che questo è un aspetto tipico della società occidentale di oggi. In altri tempi e in altri luoghi i figli sono stati e sono trattati assai diversamente: eppure le società fondate su questi sistemi (vedi ancora Singapore ad esempio) sono esistite e continuano a esistere. E i genitori di figli educati con metodi coercitivi e duri (rispetto ai nostri canoni) non finiscono tutti all’ospizio o assassinati. Io credo che il comportamento occidentale attuale si basi su cause ben più complesse e su trasformazioni sociali avvenute nel secolo passato.

2) Sono più d’accordo sulle osservazioni che fai riguardo al ruolo del sentimento nella morale. Anche qui però c’è qualcosa che non mi convince. Innanzitutto, nel post che mi ha linkato scrivi:

«Considero il linguaggio delle emozioni affine all’arte più che alla filosofia. Malgrado una tendenza forte della filosofia continentale sia quella di allontanarsi dal sentiero delle valutazioni razionali e rigorose, per inoltrarsi su quello delle tinte forti e della poesia, io mantengo la nozione della filosofia come fatto separato dalla mera comunicazione di emozioni.»

E poi:

«L’etica non è emotività, il principio del giusto e dello sbagliato non è dunque l’emotività, quello è il senso del titolo e dell’articolo citato. Dunque forse giusto e sbagliato non esistono, e c’è solo la guerra. Che vina il migliore allora, tanto non credo siano gli “antispecisti”. Oppure sarà un altro il principio del giusto e dello sbagliato, e va caratterizzato; e si direbbe che sia una valutazione estetica, basata su una distinzione a priori, “naturale”, fra le emozioni buone e le emozioni cattive.»

Eppure sei proprio tu a ricorrere a motivazioni “emozionali” per giustificare il rispetto che porti ai bambini, introducendo un elemento di forte soggettività nel tuo sistema. In effetti, sono d’accordo cone te quando dici che avviene una sorta di “lotta di sentimenti” tra la compassione verso gli animali e quella verso i malati. Tuttavia, come fai a risolvere questa lotta? Ricorri semplicemente al tuo punto di vista, il quale è probabilmente quello oggi maggiormente condiviso, ma che comunque non è quello di tutti (vedi gli animalisti) e che si basa su aspetti di forte soggettività (la tua esperienza personale, la tua educazione, la società in cui vivi). Alla fine mi sembra che tu finisca per giustificare semplicemente la realtà delle cose così come essa è (escludendo quindi qualsiasi mondo controfattuale) oppure per affidarti al principio secondo cui “il più forte ha ragione”…. (ma allora non si capisce perché il nazismo sarebbe sbagliato).

Anche io sono d’accordo che sul fatto che in filosofia sia giusto seguire un’impostazione “anglosassone”, escludendo il sentimento dal ragionamento metaetico. Ma è anche vero che quando parli di etica devi tenere conto del fatto sentimentale/emozionale, che comunque esiste (e del resto anche filosofi di matrice anglosassone sottolineano oggi questo aspetto; ad es. Thagard, “The brain and the meaning of life”).

Onestamente io, pur essendo “specista” e pro sperimentazione e per di più carnivoro, provo compassione per gli animali. Non è necessario indagare perché (nurture or nature); basta constatare che provo questo sentimento e che esso fa parte del mio essere tanto quanto la mia ragione. Ma ti dirò di più, dal punto di vista razionale sono anche kantianamente convinto che esista un senso del dovere (e se non ci fosse non staremmo neanche qui a chiderci cosa è giusto e cosa è sbagliato), che mi spinge a cercare principi universali e necessari di comportamento, validi per tutti gli esseri razionali (o, nel caso degli animali, senzienti). Entrambi questi aspetti entrano in conflitto, sia dal punto di vista razionale che da quello emotivo, con il desiderio di rispettare e salvare i malati. Alla fine scelgo il rispetto del malato (e di assecondare il mio gusto per la carne!) a scapito del rispetto dell’animale. Ma non posso dire che non me ne freghi nulla dell’animale.

Scelgo in sostanza un compromesso (di cui anche tu parli nei commenti). Questo credo sia il punto. Forse non è emerso con chiarezza dalla discussione sopra, ma credo sia un punto estremamente importante. La nozione di compromesso lascia infatti alcune questioni aperte, principalmente su quali criteri basarsi per effettuare il compromesso. Si lascia enorme spazio alla libertà individuale e il valore del contratto morale mi sembra appaia in tutta la sua limitatezza. Ad esempio, «è giusto uccidere un uomo per salvare il proprio figlio?» oppure «È giusto sacrificare la propria vita per salvare quella altrui?» (pensa a chi si getta nel mare in burrasca per salvare qualcuno). Come può il solo contratto morale dare risposte a queste domande alle quali di fatto (con le proprie scelte) i singoli individui danno risposte differenti, basate su considerazioni soggettive, che possono essere del tutto diverse dalle tue o dalle mie?

Condivido molti aspetti della tua impostazione, ma credo che dovresti spiegare meglio quale ruolo assegni alla soggettività, prendendo in considerazione che non tutti provano i tuoi stessi sentimenti e non tutte le società sono costruite sui valori di quella occidentale attuale. Altrimenti c’è il totale relativismo etico, che potrebbe anche essere la risposta…con tutte le conseguenze del caso però. 🙂

7 09 2013
lostranoanello

Il fatto che sia POSSIBILE educare i bambini anche a suon di ceffoni non significa che sia la soluzione MIGLIORE. Un filosofo morale cerca la soluzione migliore, non si accontenta di una “vivibile”.

Passiamo al ruolo delle emozioni. Ora, le emozioni forniscono il quadro dei valori individuali, e in un certo senso l’eticista non è in grado di azzerarle completamente, e non sarebbe neanche giusto farlo. Ci vuole, di base per qualunque etica, che ci sia un’attribuzione di valore alle cose, ovvero quanto meno, un’attribuzione di “desiderabile” e “non desiderabile”. Se non avessimo queste attribuzioni di base, un’etica non servirebbe, e neanche una morale… saremmo già estinti, perfino le piante vogliono qualcosa e aborrono qualcos’altro. Più che mettere in discussione il fatto che ci siano le emozioni, è da considerarsi come irriducibile dato di partenza: desideriamo alcune cose, ne aborriamo altre.
La morale però non si può ridurre a queste semplice dicotomia. Dire “io odio il rap” è cosa diversa dal dire “il rap è il male e va eliminato”. La differenza? La seconda è una formulazione universale. Se fossi Dio, potrei anche decidere con un solo pensiero di eliminare il rap, ma io sono un umano, per eliminare il rap devo confrontarmi con una società che contiene molte persone che amano il rap, e dunque non è facile decidere come comportarmi al riguardo: vorrei che sparisse, ma non posso ottenerlo gratis.
Non è in discussione il fatto che mi piaccia il rap, come non è in discussione il fatto che alcuni compatiscano i beagle di Green Hill. E’ in discussione quanto di tutto ciò diventi una questione di interesse pubblico-universale, da valutarsi razionalmente. Odio il rap, la cosa più semplice per tutti, anche per me, è che non lo ascolti, anche se l’ideale per me sarebbe che sparisse. Io compatisco i beagle di Green Hill. Sì, ma gli altri che ne pensano? Le nostre leggi che ne pensano?
Quando si parla di etica, io mi riferisco sostanzialmente ad un confronto razionale fra se stessi e il mondo. Come scrivevo nel mio post “Moralità” (che non ho linkato e mi scoccio di cercare, ma se ti interessa lo trovi), il totale relativismo etico non esiste. Concettualmente è vero, puoi credere di essere Dio e di avere un comportamento completamente libero da ogni vincolo. Poi però ti confronti col mondo e scopri che non sei Dio e i vincoli li hai. L’etica è la disciplina che si occupa di questi vincoli e cerca anche di individuare gli equilibri migliori, per quanto provvisori e circostanziali, su cui basare i nostri comportamenti.
In etica ho un po’ lo stesso approccio che in filosofia della scienza. Si può tranquillamente negare che una realtà fisica oggettiva possa essere provata attraverso una rigorosa deduzione da principi primi indubitabili. Ma poi quando sei all’atto pratico se tu non usi il principio di archimede affondi e muori. Qualche cosa che ti limita c’è sempre, e ti conviene scenderci a patti il più pacificamente e comodamente possibile.

7 09 2013
Francesco

La discussione si sta facendo lunga, ma, se ti va, io non abbandono. Mi sembra però che stai eludendo gli aspetti centrali delle mie osservazioni, concentrandoti su altri che, per altro, io non ho mai detto di sostenere.

1) Qui è interessante come una sola parola (tra l’altro in caps lock) possa celare in realtà argomenti complessi. Non mi hai detto migliore per chi? Né rispetto a quale sistema valoriale. Un mio amico di Singapore è stato educato anche attraverso il caning e posso garantiriti che oggi è assolutamente normale, anzi molto più educato e rispettoso di nostri coetanei occidentali allevati con amorevoli cure.

2) Questo è il punto essenziale. Io non ho mai sostenuto (correggimi se sbaglio) il totale relativismo etico né tantomeno che l’uomo sia un dio svincolato dalla realtà. Non capisco come tu possa poi cotsruire un tale paragone tra il discorso scientifico a quello etico. Entrambi si basano sulla discussione inter e intrasoggettiva…e ok, qui penso che siamo d’accordo. Ma i dati di partenza non sono gli stessi. I dati scientifici sono oggettivi (o quantomeno intersoggettivi), mentre quelli etici sono, almeno in parte, soggettivi. E sta proprio qui il problema che secondo me inficia anche il tuo sistema. Tu dici che «l’etica è la disciplina che si occupa di questi vincoli e cerca anche di individuare gli equilibri migliori, per quanto provvisori e circostanziali, su cui basare i nostri comportamenti». Il punto è proprio: quali criteri seguire per accordare posizioni soggettive differenti ma ugualmente conciliabili con la realtà? Cos’è “migliore” e come si identifica l’equilibrio? È meglio il bene di tutti o quello di pochi? Se non rispondi a queste domande il tuo sistema poco aggiunge alla ricerca etica, perché si presta facilmente ad avvalorare qualsiasi contingenza storica.

Di per sè per quanto riguarda gli animali il tuo sistema funziona; basta che dici “l’uomo preferisce tutelare la vita dei propri cari e dei propri simili prima che quella degli animali”….un principio dai più (ma non da tutti) condiviso, che porta a considerare accettabile sopprimere un animale per dare vita a un uomo. Ma non si capisce allora la necessità del tuo ragionamento sul fatto che gli animali non partecipano al contratto morale. Importa poco questo; importa che ci siano uomini che sono portatori dei diritti degli animali all’interno del discorso/confronto umano sull’etica. Ora questi uomini sono in posizione di inferiorità, ma non è detto che sarà così in futuro. Nel passato era considerato accettabile avere schiavi: evidentemente la il contratto morale collettivo si assestava su questa posizione. Questo fa emrgere tra l’altro un altro problema (che ho già presentato più volte, ma a cui non mi hai risposto), ossia che i rapporti di forza all’interno della collettvità etica/morale non sono uguali ed è facile supporre che chi è dotato di maggior forza (fisica, politica, economica, conoscitiva, ecc.) impone i propri valori etici a chi è più debole.

Porto un ultimo esempio per cercare di chiarire il mio pensiero: gli immigrati clandestini che giungono via mare in Italia. Alcuni di loro servono alla nostra economia, ma non tutti e non tutti insieme. Non c’è nessun problema quindi ad abbattrne un po’ mentre sono in mare e farli annegare. Non c’è nessuna limitazione nella realtà fisica che me lo impedisca (e non si può neanche dire “pensa se ci fossi tu su quella barca”, dal momento che è assai poco plausibile che ciò accadrà). Il problema è quindi solo etico: alcuni dicono (sulla base di convinzioni soggettive) “abbattiamoli”, altri (sulla base di convinzioni sempre soggettive) dicono “no, sono umoni e hanno diritto alla vita”… Eppure la collettività morale italiana (o europea o occidentale) potrebbe infischiarsene del fatto che sono uomini, ponendo la distinzione al livello della coppia italiano (ricco, benestante) / immigrato (povero, problema sociale). Magari potremmo abbatterne solo un po’, così da non rovianre troppo le relazioni con i paesi da cui provengono. Come si decide nel tuo sistema filosofico? Una scelta vale l’altra?

7 09 2013
lostranoanello

Può darsi anche che il caning sia meglio, allora, chi lo sa? 🙂
Penso che il problema stia nel fatto che tu ritieni che ci siano basi assolute per la scienza che invece non ci sono per l’etica. E invece il discorso è esattamente uguale. C’è una differenza quantitativa, è più facile trovare accordo sulla scienza che sull’ethos, ma tutto sta comunque nel trovare un accordo intersoggettivo. Cosa conta in questo accordo? Che io che vi partecipo abbia trovato la soluzione migliore per me. Questo non significa un assolutismo dell’Io, appunto perché in realtà ci sono vincoli di natura pratica (o anche solo emotiva) che mi impongono di tener contro degli altri.
Penso che un motivo per cui il mio discorso può sembrare poco convincente è che comunque c’è ancora un agganciarsi sottile e quasi invisibile da parte del lettore a un concetto di etica astratto: cosa è giusto. Cosa è giusto come una nozione teoria attraverso cui si determina una prassi. E’ il problema che spiegavo in “antiabortisti, antispecisti”: prima si vuole decidere cos’è una persona, poi che diritti ha, poi infine come comportarsi.
Ma ha un senso attribuire la nozione di giusto a priori? Giusto vuol dire che mette me in una disposizione tale da avere una totale rassegnazione sia sul piano emotivo che razionale che pratico alla cosa, giusto vuol dire che io non biasimo né mi ribello.
Dimentichiamoci del tutto la questione del giusto astratto, non mi interessa affatto, possiamo smettere di usare il termine. La domanda che conta è “biasimeresti questo comportamento?”, “ti ribelleresti a questo comportamento?”
Penso che il problema dei tuoi esempi sia che credi che io debba giustificarli in qualche modo 🙂
In realtà, se sei così bravo da dimostrarmi che nel salvare gli immigrati ci guadagno nettamente, mi avrai automaticamente convinto a sparargli. Nel mio sistema non ci sono prescrizioni, e solo un quadro all’interno del quale tutte le prescrizioni sono rese possibili.
Motivi per non sparare agli immigrati? C’è la compassione, fondamentalmente, per cui io non lo fareI, c’è il fatto che alcuni di essi, come notavi, possano portare bene alla nostra economia, c’è il desiderio di mantenere un sistema di scambio e una disposizione morale positiva degli altri popoli nei nostri confronti.
Nessun gesto è mai assolutamente senza conseguenze, se non altro perché crea un’etàt d’esprìt in chi lo osserva. Non mi sento di escludere che un giorno i rapporti di potere potrebbero cambiare e un’altra etnia avere il sopravvento; sarà importante in quel caso aver agito in favore della pace. Potrebbe anche non accadere, ma qui si deve ragionare a priori, e a priori collaborare di solito è meglio.
Non posso dimostrare che collaborare è sempre in ogni circostanza immaginabile più utile per il proprio interesse (anche se credo che a priori sia quasi sempre così). Questo esonera dal mio compito e dai miei scopi. Potrebbe venir fuori che molti dei nostri pregiudizi morali sono del tutto infondati… Certo alcuni non lo sono, non si può vivere in uno stato di guerra perenne e pensare che staremo magnificamente bene, semplicemente non è così. Si deduce immediatamente solo una cosa, che in generale collaborare, essere gentili e compassionevoli conviene. Porre la linea assoluta di dove questo inizi a convenire più non lo posso fare sulla base dei miei assunti, diventa un discorso più complesso da fare caso per caso. Ci vorrebbe una trattazione apposita di varie pagine per ognuno dei problemi etici che proponi… ma sì, sicuramente si può giungere a delle soluzioni provvisorie ed utilizzabili.
Il discorso contro l’animalismo sarebbe dunque, banalmente, che a noi come società non conviene. Questo va dimostrato con appositi argomenti, e non è neanche DEL TUTTO vero: lo sviluppo delle doti di compassione verso gli animali, entro certi limiti, è sicuramente d’aiuto alla società e infatti non sono contro le normative per l’animal welfare.
I miei argomenti piuttosto mettono una pietra tombale sui tipici argomenti dell’antispecismo, e anche su vari argomenti “atipici”, è la cosa che mi premeva di più: mostrare come gli argomenti in favore di una qualche ridefinizione in senso animalista dei concetti di persona o di comunità o di diritto sono privi di forza. A me tanto basta. Ma a una Serena che mi dici “io non ho argomenti di natura sociale, ho solo la mia personale compassione” io posso rispondere solo “bene, porta avanti il tuo punto di vista. Tieni conto però che io mi ricorderò del fatto che del MIO punto di vista te ne sei fregata. E tieni conto del fatto che ciò che dici a lungo termine potrebbe danneggiare anche te stessa, ad esempio privandoti di terapie contro malattie che potresti avere anche tu”. Ciò detto, non posso fare altro: tentare di convincere, biasimare, eventualmente reagire, sanzionare. Ma categorizzare il giusto assoluto come concetto astratto e autosussistente non si può fare, è una cosa impossibile in sé perché si sgancia completamente dalla prassi.

7 09 2013
Francesco

Mi dispiace ma continuo a credere che il paragone scientifico non regga. Ho riconosciuto e riconosco di nuovo che sia il discorso etico che quello scientifico richiedono l’accordo sul piano intersoggettivo. Ma, come ho detto prima, i dati di partenza sono diversi, oggettivi/intersoggettivi in un caso, soggettivi (in parte) nell’altro. Nel dialogo/confronto scientifico il fine è ricercare una spiegazione che metta tutti gli scienziati (esclusi quelli in malafede) in una posizione di accordo intersoggettivo, attraverso la formulazione di teorie che spieghino tutti i dati validi disponibili. Queste teorie però, per essere valide (ma non dico assolute), non devono essere contraddette: la teoria deve spiegare tutti i dati e non può certo “negare” dati validi in favore di altri altrettanto validi (si cercherà allora un teoria migliore; nella ricerca scientifca, a differenza d quella pratica, di per sé non c’è “fretta” di giungere a una conclusione che magari al momento non si trova). Nel discorso etico questo invece accade: i dati (nel senso di datum, ciò che si dà in partenza) solitmente presentano differenze irriducibili e l’accordo intersoggettivo che si crea alla fine richiede che la verità e validità di alcuni o parte di questi dati sia sacrificata a vantaggio della formulazione di una teoria pratica collettiva.

Possiamo certo eliminare il concetto di giusto a priori e basarci invece sulla «soluzione migliore per me», e per te e per gli altri conseguita attraverso una collaborazione dialogica collettiva. Tu mi dici che la domanda che mi devo porre è «biasimeresti questo comportamento?», «ti ribelleresti a questo comportamento?». Mi sembra quindi che l’aspetto latamente politico assuma un forte ruolo nella tua impostazione.

Il problema, onestamente, io lo vedo nel fatto che in alcuni casi può accadere che uno dica «sì, mi ribellerei», senza però avere alcun potere per ribellarsi effettivamente. Se tutto si gioca nell’arena del confronto etico intersoggettivo, ci possiamo verosimilmente aspettare (come ho già detto) che chi avrà più potere in campi extraetici (politico, ecc.) imporrà il proprio discorso etico su quello altrui. Tant’è che i grandi gruppi di interesse (ad esempio quelli religiosi) tendono ad avere una preponderanza maggiore nel dibattito etico.

Tu sostieni che «in generale collaborare, essere gentili e compassionevoli conviene». Poi però ammetti di non poterlo in effetti dimostrare pienamente. Mi sembra che tu nutra una grande fiducia nella compassione e nella razionalità umana, ma potrebbe accadere che questa fiducia sia mal riposta. Se qualcuno è detentore di un potere estremamente superiore rispetto agli altri partecipanti al dibattito etico probabilmente sarà poco incline a scendere a patti con loro (questo perché scendere a patti significa spesso cedere parte del proprio utile; se fosse possibile accontentare tutti senza scontentare nessuno allora non saremmo neanche qui a farci le seghe mentali :D) . Forse questa strategia non pagherà sul lungo periodo (magari avrà conseguenze generazioni dopo), ma non è detto che gli uomini scelgano sempre attraverso processi rigorosamente razionali, soprattutto quando le previsioni sul futuro sono incerte o lontane. Tanto più che tu parli di soluzioni provvisorie e contingenti, e non assolute. In ogni caso, anche qualora fosse compassionevole, chi avrà maggior forza extraetica nel dibattito etico è probabile che deciderà o deciderà di più rispetto agli altri.

Infine, tu dici «non posso fare altro: tentare di convincere, biasimare, eventualmente reagire, sanzionare». Vorrei far notare che tu hai queste possibilità sulla base di diritti di cui godi; tuttavia, sarebbe interessante indagare su come hai ottenuto (o su come qualcuno ha ottenuto per te) questo diritto. Probabilmente su basi extraetiche.

In conclusione, posso anche accettare un sistema che come il tuo si basa sul solo accordo intersoggettivo di interessi soggettivi. Ma resta il problema di chi e perché ha diritto a entrare in questa discussione. Siccome abbiamo escluso qualsiasi principio aprioristico di giustizia, le basi del diritto di ingresso (o di aver voce) nel discorso e contratto etico sono allora probabilmente al di qua dell’etica, antecedenti al discorso etico. Il che vuol dire che ci può andar bene ed essere inclusi nel discorso; ma ci potrebbe anche andar male ed esserne esclusi. Una conclusione possibile, ma con possibili svantaggi non da poco. Senza considerare che, per quanto riguarda il singolo individuo, il singolo individuo viene lasciato in balia di una forma di esistenzialsimo, in cui uno sceglie in base a massime morali che alla fine non sono assolute e quindi non totalmente razionali e razionalizzabili (fondate quindi su cause in parte ignote allo stesso individuo che sceglie). 🙂

7 09 2013
lostranoanello

E’ come se tu mi dicessi “tu vuoi volare, e puoi farlo sugli aerei. Ma cosa faresti se non avessi glia erei?”
E’ una domanda banalissima, che quando si parla di etica, appunto perché ci si ostina in generale a voler restare attaccati all’astratto e all’ideale, diventa complicatissima. Se non avessi gli aerei, non volerei. Se fossi completamente schiacciato da un avversario che vuole annientarmi senza compassione né razionalità, sarei schiacciato. E’ del tutto irrilevante considerare giusto o non giusto che egli lo faccia, la questione è anzi per me priva di senso, il discorso è semplicemente su come a me conviene comportarmi, e sulla mia disposizione morale, ovvero se sentirei del biasimo verso l’avversario in questione o no. E’ tutto lì. Stiamo ponendo proprio i due casi estremi in cui l’etica non esiste e la domanda sull’etica non ha senso: il primo, quando sei onnipotente e onnisciente e privo di qualsiasi sentimento umano. Lì l’etica non esiste perché non ne hai bisogno, sei tu che governi le realtà. Il secondo, sei ridotto ad un’impotenza così totale da non avere alcuna voce in capitolo di nessun tipo sull’andare delle cose. Lì l’etica non ti serve perché tanto la sorte non può essere cambiata. E’ ovvio che la domanda su come mi dovrei comportare si pone solo quando c’è un conflitto agibile fra i miei interessi e le condizioni esterne che mi sono poste, un conflitto da risolversi. La mia teoria è prima di tutto una descrizione, sulla cui correttezza poi possono inserirsi le prescrizioni, ma hai perfettamente ragione che di per sé è extraetica. Io non credo che la morale stia nelle cose del mondo, pronta ad essere osservata e scoperta, e tu concordavi con me che effettivamente essa è qualcosa che si crea. Che la sua radice intima dunque non sia, di per sé, etica, è pacifico; e non cederò alla tentazione di pensare che il mondo sia esattamente come io lo voglio e ci sia garanzia superiore che si mantenga tale; la garanzia in questione posso essere solo io, per la mia parte, e chi mi segua.
Ciò non toglie che io possa portare nell’agone del dibattito etico dei ragionamenti che ritengo corretti, e cioè che sia nelle mie possibilità fare delle cose: tentare di suscitare compassione, mostrare al prossimo i vantaggi della mia posizione, richiamarmi, laddove delle norme già ci siano e siano state accettate, al loro rispetto (se necessario, posso anche usare la violenza, ma di solito non funziona molto, è “l’ultimo rifugio degli incapaci”). Posso benissimo dire a X “ehi, ma ti sei reso conto che se blocchi la sperimentazione animale, le cure mancheranno anche per te?”; questo è un buon argomento che senza dubbio dovrebbe convincere una persona razionale. Ma se non funziona dovrò ricorrere a dell’altro… mi muoverò tautologicamente sempre e solo nel campo delle mie possibilità, e avrò un’idea ben precisa in testa di come sarebbe un mondo “ideale”, però il concretizzarsi incontrerà comunque dei vincoli. Avrei argomenti contro il nazismo? Sì, li avrei e molto solidi. Ma non sono assoluti, non possono esserlo perché non sono Dio.
Discutere se quello che sto dicendo sia bello o desiderabile o meno è a mio avviso fuori luogo a priori, perché quando parlo di cosa sia in generale l’etica non sto dicendo che debba essere così, ma semplicemente che è così: l’etica ha delle radici che non hanno a che fare con l’etica, e il giusto assoluto non esiste, esiste una dialettica che porta ad un accordo. L’accordo a sua volta non è assoluto, ma può generalmente essere migliorato, ovvero diventare più conveniente per tutte le parti in causa.
Due punti da chiarire: quello che io non posso dimostrare è che collaborare sia SEMPRE la scelta migliore, anzi, posso dimostrare il contrario. Però è agevolissimo dimostrare che collaborare è DI NORMA la scelta migliore. Si fa attraverso la teoria dei giochi, e si fa anche con il semplice buon senso: se gli uomini invece di collaborare non facessero che tentare di ammazzarsi a vicenda razzolerebbero ancora nel fango, questa mi sembra un’evidenza assoluta: la cultura, che rappresenta la fonte del potere e del particolare benessere dell’uomo fra le varie specie viventi, è frutto di una collaborazione. Che collaborare in generale funzioni è dimostrato, non è dimostrato che funzioni SEMPRE, ma questo non è indispensabile. Infatti gli animali conviene molto di più usarli che tentare di collaborarci, anche perché non collaborano 😛
Seconda questione, sulla questione scienza… cos’è un dato oggettivo, te lo sei mai chiesto? Se io vedessi galleggiare davanti a me un maiale verde, continuamente ed in ogni momento della mia vita, questo lo renderebbe reale? Per me può anche esserlo, l’allucinazione può essere così potente da permettermi di vederlo e di toccarlo… ma poi mi serve un RISCONTRO esterno per dire che è reale. Per la precisione, il suo essere reale mi deriva dal fatto che esso costituisce un limite pratico non solo per me, ma per tutti; ovvero esiste un accordo intersoggettivo che davanti a me stia galleggiando un maiale verde. Senza l’accordo intersoggettivo, non si può dire di nulla che sia “reale”; la scienza si basa proprio su questo. E infatti quando l’accordo cambia, ecco che la realtà cambia: la terra ha smesso di essere al centro dell’universo. Adesso si dice che lo è sempre stata, perché così vuole il nuovo accordo. Esattamente come adesso si dice che uccidere i bambini è sbagliato, e si dice che lo fosse anche a Sparta. Ma lo abbiamo deciso ora…

7 09 2013
Francesco

1) Sulla questione discorso scientifico/discorso etico non hai letto con attenzione quello che ho scritto. Ho scritto che i dati scientifici sono oggettivi/intersoggettivi, sottointendo proprio il tipo di ragionamento che fai tu. Questi dati intersoggettivi (a differenza dei moventi soggettivi in campo etico) sono però uguali per tutti (a meno che non vogliamo dire che stiamo vivendo tutti un’allucinazione collettiva). Il punto sul fatto che la terra non è più al centro dell’universo non regge. L’eliocentrismo non è il dato: è la teoria elaborata sul dato. Durante il medioevo i dati (comprese le conoscenze teoriche) disponibili (intersoggettivamente condivisi) rendevano più plausibile la teoria tolemaica che quella eliocentrica. In seguito altri dati hanno modificato la teoria in vigore, che però non ha certo negato la validità dei dati accertati preesistenti. Mi dispiace, ma quando l’accordo cambia la realtà non cambia; cambia l’interpretazione del dato, non il dato.

2) Credo che sulla natura extraetica dell’etica possiamo concordare. Però qualche dubbio mi sorge sul fatto che la teoria dei giochi sia sufficiente a spiegare che la collaborazione di norma dia risultati soddisfacente. Ammetto di non essere particolarmente ferrato su questa teoria (non sono né un matematico né un economista), ma mi chiedo su quale particolare applicazione della teoria dei giochi ti basi. A quel che ne so, anche le applicazioni più recenti della teoria dei giochi in campo etico hanno avuto le loro obiezioni. Significativamente è stato rilevato come l’applicazione di questa teoria all’etica possa portare alla semplice giustificazione delle norme già esistenti (che è quanto dicevo prima). Perciò, non so credo che appellarsi genericamente alla teoria dei giochi possa essere considerata una dimostrazione sufficiente. Ma anche osservazioni fatte sul buon senso non reggono necessariamente: l’individuo non si comporta sempre in modo razionale e non sempre possiede conoscenze ccosì raffinate dda poter fare previsioni sul lungo periodo; non è detto che perciò scelga per forza la collaborazione (anche se questa potrebbe risultare alla fine più vantaggiosa). Aveva senso per i barabri annientare la struttura politca e sociale dell’impero romano così da fare tuttti un bel balzo di civilità indietro? Forse sarebbe stato meglio integrarsi con loro. Però non l’hanno fatto (e questo non è certo un caso di scarsa rilevanza storica o “particolare”).

3) Altro punto. Ipotizziamo che sia come sia come dici tu: se non hai voce in capitolo, l’etica non esiste. Il che ovvio, dato che per te l’etica è una struttura costruita dialogicamente. Ma allora cosa distingue l’uomo escluso dalla comunità dialogica dall’animale? Entrambi non hanno voce in capitolo. Ora, capisco che, dal punto di vista pratico, la cosa non ti tocca, dal momento che tu ora hai voce in capitolo! Ma, se un domani non l’avessi più, i tuoi avversari potrebbero trovare nelle tue argomentazioni buone ragioni per trattare te alla stregua di un animale. Lo accetteresti? Se no, saresti in contraddizione con te stesso. Se sì, direi «fin che non vedo non ci credo!» 😀 Per favore non dirmi che la domanda non ha senso perché non è un problema pratico che ti tocca nel presente: l’analisi controfattuale e l’estensione a considerazioni di tipo universale è propria della riflessione filosofica. Ragionare del solo particolare è inutile, dato che ogni particolare è diverso dagli altri.

4) Ultimo punto. Fai spesso riferimento alla “praticità” delle scelte e vuoi evitare formulazioni di principio. Se non esistono principi, io ne deduco che le nostre scelte individuali risiedono semplicemente in massime (individuali) contingenti, elaborate di volta in volta in relazione a scelte particolari. Dove risiede il fondamento di queste massime, se non esistono principi universali? Io direi nel calcolo dell’utile, che però a sua volta, come dicevi tu, si basa su “desideri”/”non-desideri” preesistenti. Non voglio essere polemico qui, ma solo chiederti se ritieni che la base di questi desideri sia prettamente deterministica (ossia risieda nel nostro cervello e in niente altro). Io ritengo sia così, ma vorrei sapere come la pensi, visto che è un aspetto importante del discorso.

8 09 2013
lostranoanello

1) filosoficamente il tuo è un discorso che non regge, ma a tuo merito dirò che molti filosofi lo portano avanti comunque. Fintanto che non diventi strettamente necessario affrontarlo per parlare di etica, preferisco soprassedere.

2) La teoria dei giochi descrive, non prescrive. Descrive che se i soggetti sono perfettamente razionali, conviene loro collaborare. Corrobora con dati matematici una nozione piuttosto intuitiva, e cioè che la collaborazione rafforza e conviene. Conviene sempre, comunque, in qualsiasi circostanza? Nemmeno la teoria dei giochi sostiene questo. Ma l’esperienza di tutti i giorni E la teoria dei giochi confermano che in generale conviene. Le persone sole e senza amici né rapporti di scambio col prossimo sono considerate generalmente piuttosto miserabili.

3) I miei avversari non potrebbero trovare nelle mie argomentazioni buone ragioni per aggredirmi. Non ho forse detto, infatti, che proprio perché io un giorno potrei trovarmi ad essere in condizioni di minorità, sin d’ora io sto alimentando e sostenendo un sistema di regole che tuteli anche i più deboli? Mi spiace ma se c’è una cosa sicura è che un cinese non potrà mai discriminarmi su basi razziali giustificandosi col fatto che io facevo lo stesso con lui. Dovrà trovare un’altra scusa.
Piuttosto è vero che non la mia etica, ma qualunque etica crolla di fronte allo spettro dell’onnipotenza: un essere che non abbia limiti, che non accetti alcuna regola, che non senta alcuna ragione, non subisce l’etica. Ma se tu dici che io posso improvvisamente decadere e non avere più il potere, stai confermando che il mio potere non è affatto assoluto e dunque non è nella casistica di onnipotenza: sono un umano, a volte ho il potere, a volte no. Cerco di tutelarmi in entrambe le circostanze.
I casi che citavi sono un puro esperimento mentale: ogni individuo umano ha bisogno di negoziare col mondo (non è onnipotente e illimitato) e ha alcuni modi per negoziare farlo (nemmeno gli altri sono onnipotenti e illimitati). Perfino gli animali hanno alcuni modi per negoziare, ad es. suscitare pietà. Vuoi che non li abbia l’uomo?

4) Il determinismo è un argomento assai spinoso. Io sono un compatibilista, credo che il determinismo non si opponga al libero arbitrio. Ma forse non ho compreso io la domanda.

8 09 2013
Francesco

1) Se dici che il mio sistema filosofico non regge, lo devi dimostrare. Per me il discorso non era superfluo, dal momento che supportava la fallacia della tua prospettiva.

2) Sulla tua incrollabile “fede” anche nella sola “descrizione” che la teoria dei giochi fornirebbe in campo etico, posso proporti, per non tirarla per le lunghe, la seguente voce della Stanford Encyclopedia of Philosophy, che tratta proprio del rapporto teoria dei giochi/comportamento etico: http://plato.stanford.edu/entries/game-ethics/
Vedrai che la tua teoria è tutt’altro che pacifica e “intuitiva” (l’intuito non sempre ha ragione).

3) «La riflessione filosofica non ha caratteristiche che le siano proprie essenziali, visto che è proprio una disciplina che non dà per scontato neanche il proprio stesso ruolo». Dubito molto che questa affermazione sia vera, altrimenti fare un discorso filosofico e discutere di ricette di cucina sarebbe la stessa cosa. Per quanto si possano dare interpretazioni differenti del senso del discorso filosofico, la specificità di esso risiede proprio nel suo carattere di “universalità”. Il che vuol dire che, anche in campo etico, devi astrarre dalla contingenza del qui e ora e prendere in considerazioni situazioni universali. Il discorso sull’etica (normalmente detto semplicemente “etica”) tratta della pratica, ma l’approccio è sempre universale; altrimenti si chaimerebbe saggezza, norme di buon comportamento, o como vuoi. (Nota: io non ho ipotizzato tu che ti trasformi in animali; ho detto che saresti considerato alla stregua di un animale, il che è ben diverso).

4) Poco importa che tu ora difendi i più deboli, perché nel sistema che hai costruito tu sarai fuori dal discorso etico e i tuoi avversari non avranno nessun vincolo di considerazione nei tuoi riguardi (che trovino una scusa o un’altra cosa cambia? il risultato è che tu sarai considerato sempre deliggittimato all’interno del discorso etico?). I casi che cito non sono “esperimenti mentali”, ma sono situazioni che sussistono oggi nel mondo; forse per te sono esperimenti mentali perché è assai inverosimile che tu possa un giorno trovarti in quella situazione (del resto la tua etica conduce proprio alla completa tutela e difesa delle tue convinzioni personali, basandosi proprio sul fatto che hai la fortuna di essere già di diritto all’interno di quel contratto etico di cui parli). Tra l’altro, tu continui a parlare di enti “onnipotenti”; e di conseguenza affermi che «I casi che citavi sono un puro esperimento mentale: ogni individuo umano ha bisogno di negoziare col mondo (non è onnipotente e illimitato) e ha alcuni modi per negoziare farlo (nemmeno gli altri sono onnipotenti e illimitati)». Per sostenere il discorso che io faccio, non c’è bisogno di ipotizzare l’esistenza di enti onnipotenti, ma basta presupporre (e verificare) la presenza di forti squilibri di potere tra i diversi gruppi e individui che partecipano al discorso etico. Coloro che gestiscono la tratta di esseri umani (considerati quindi al livello di animali) in paesi del terzo mondo non sono certo onnipotenti: avaranno dei limiti e delle necessità di negoziazione con i propri pari, ma nei confronti degli esseri umani che trattano costituiscono la totalità della comunità etica, perché sono a tutti gli effetti gli unici detentori del potere di discussione e decisione. Il tuo sistema, di fatto, conferma la realtà così come oggi è, dicendo “questo è il punto di equilibrio che si è creato e, siccome giusto e sbagliato a priori non esistono, non possiamo dire che il sistema sia ingiusto”. Infatti, come tu stesso affermi, dici che si ti trovassi in posizione di inferiorità di opporrresti, ma avresti tutto da perdere. La tua forza contrattuale sarebbe infatti pari a zero. Dovresti sperare che qualcuno di coloro che hanno accesso alla comunità che costruisce il discorso etico, si rivolga verso di te e (proprio come nel caso di un bambino o di un animale) ti conferisca dei diritti che tu da solo non ti puoi dare. Ma perchè dovrebbe farlo? Probabilmente mi risponderai “per compassione”… Quindi in sostanza ci affidiamo al sentimento dei singoli, che è mutevole, influenzabile, e che certo non può fornire nessuna linea di condotta (cioè eticamente è inutile, non aggiunge niente al discorso etico; le emozioni esistono così come sono e non possono fornire nessuna “guida” etica; se fossimo guidati solo dalle emozioni allora sarbbe inutile condurre un discorso filosofico/razionale sull’etica). E comunque, tu potresti suscitare compassione, ma anche odio o disprezzo e quindi non otterresti alcun aiuto. Per molte persone nel mondo la situazione è questa. Ti sembra un sistema accettabile?

La tu risposta sarà probabilmente che no, non lo è che, come hai scritto, tu alimenti e sostieni un sistema di regole che tuteli anche i più deboli. Il punto sta proprio qui. Il tuo sistema giustifica benissimo le tue “opinioni” (e non “ragioni”) in campo etico (che condivido anche io), ma non prende in considerazione che nel resto del mondo ci sono molti esseri umani che hanno opinioni del tutto differenti. Tu non fornisci nessuna spiegazione del perché le tue “opinioni” morali sono quelle che sono e non altre; se non ci sono principi di giusto/sbagliato tutte le opinioni sono ugualmente valide e la soluzione collettiva che si adotterà si baserà solo su fattori extraetici, ossia su rapporti di forza. Per di più il tuo sistema non so nemmeno se si possa chiamare “etica”, dal momento che non fornisce nessuna guida nelle scelte individuali, ma lascia il campo aperto alle sole considerazioni utilitaristiche, le cui basi sono tutte da provare (cioè non aiuta in nessun modo a progredire nella ricerca sulla domanda etica fondamentale, ossia «cosa devo fare per essere felice?»; alcuni dicono aiuta il tuo prossimo, altri accumula ricchezze, altri magari diranno stupra chi vuoi; nel tuo sistema queste risposte sono tutte valide, l’importante è avere abbastanza forza per affermarle/imporle nel dibattito etico). Quando dici «Non è importante se la terra sia tonda o non lo sia, l’importante è far funzionare i satelliti. Non ha importanza se la schiavitù o lo stupro siano giusti o sbagliati, ha importanza la domanda “come comportarsi di fronte a stupro e schiavitù?”» costruisci un altro paragone arbitrario. Confondi le cause/condizioni con i fini. Il fatto che la Terra sia tonda è la condizione/causa che permette ai satelliti di funzionare; anche il fine è chiaro: il satellite serve per le telecomunicazioni ecc. Il fine etico non è invece affatto certo: la decisione di come comportarsi davanti a stupro e schiavitù risiede nel fine che vogliamo ottenere. Quale scopo volgiamo ottenere? La felicità collettiva? E in cosa consiste? E poi è possibile ottenere la felicità per tutti? Qui, una volta eliminata la certezza assoluta nella teoria dei giochi, come rispondi?

Concludo. Ribadisco che il sistema che costruisci è comodo per te che hai già voce nel contratto sociale e che, evidentemente, hai già trovato la chiave della tua felicità personale. Il mio suggerimento è invece: non è che esistono alcune strutture che guidano il senso di moralità in modo analogo in tutti gli esseri umani? Non potrebbe forse avere senso il principio morale universale e necessario di Kant, fondato su basi razionali? Non dico che l’uomo sia sola ragione (ci mancherebbe!). Ma forse strutture razionali che definiscano cosa è morale e cosa no (in senso generale) esistono. Poi non sempre le seguiamo, entrando in contraddizione forse con noi stessi. Ma per l’appunto l’uomo non è sola ragione.

8 09 2013
lostranoanello

1) Non regge, ma ti assicuro che non è importante. Per me la critica all’oggettivismo è portata avanti in tutti i campi e costituisce un approccio universale, ma ora stiamo parlando di etica e possiamo portarla avanti solo qui.

2) Allora facciamola ab absurdo: quindi tu ritieni che l’uomo non debba nulla al comportamento cooperativo e funzionerebbe meglio se tutti facessimo una lotta senza quartiere gli uni con gli altri in continuazione. Se lo pensi davvero, suppongo che tu sia una specie di renegade criminale, e non solo: che in questo modo te la spassi alla grande. E non solo: che tu conosci intere società-non società in cui tutti sono renegade e se la spassano tutti (o quasi) alla grande (se non fosse vero che TUTTI i renegade, o almeno la metà, se la spassano alla grande, allora non potresti far valere l’ipotesi che il comportamento da “traditore” sia fruttuoso quando quello da “collaboratore”).
Se fosse anche solo pensabile che combattere sia universalmente più fruttuoso, non riusciremmo neanche a spiegare l’esistenza della pluricellularità: le cellule avrebbero preferito lottare per sempre le une contro le altre.
Stai insistendo su un punto che è logicamente senza speranza; forse lo fai per puro esercizio, ma dopo un po’ il puro esercizio astratto scoccia, o almeno a me scoccia. Se tu pensassi davvero che la società non convenga, avresti smesso di farne parte, quindi non lo pensi. Perché dobbiamo simulare un dibattito su una cosa su cui in realtà siamo d’accordo, che emerge lampante dall’analisi anche solo superficiale di tutte le strutture sociali umane e animali, e su cui perfino ekdurt qui sopra che non mi trova esattamente simpatico e geniale non ha difficoltà a concordare?

3) Scienza e filosofia della scienza. Due cose diverse. La filosofia della scienza dice quali dovrebbero essere le basi del discorso scientifico, ma poi la scienza, magari basandosi su concetti di filosofia della scienza, la fanno comunque gli scienziati, in un secondo momento (infatti scienziati con posizioni filosofiche radicalmente diverse fanno scienza più o meno allo stesso modo). Etica e filosofia dell’etica, ovvero, per usare una terminologia più consona, morale ed etica. I filosofi pongono le basi del discorso morale facendo filosofia morale (detta anche etica), ma poi il discorso morale vero e proprio la fanno gli eticisti.
Ti dà fastidio che la morale sia tutt’altro che costituita da principi assoluti e universali? Secondo te un’etica così non è una vera disciplina, ma solo una saggezza del vivere? Be’, etimologicamente è proprio quello il suo significato: http://it.wikipedia.org/wiki/Ethos
Per me è solo quello l’etica. Se cerchi dell’altro, forse stai usando il termine sbagliato, l’etica è proprio teoria del vivere, saggezza del vivere, scienza dei costumi. Roba metafisica qua non è affatto richiesta, e Aristotele concordava con me.

4) Ma scusa, ma che cambia se io invece invento (e davvero inventare è il termine più adatto qui, perché sarebbe una pura produzione della mia immaginazione) un’etica in cui invece dico “tutti gli umani di tutte le forme colori età e stati mentali hanno il diritto alla vita”? Se trovo una persona che questo principio non lo riconosce, il fatto che io creda scioccamente in esso non mi viene in aiuto in nessuna, e dico NESSUNA maniera. O parliamo del mondo, o parliamo di mondi immaginari; se credi nella giustizia divina devi dirlo, perché allora il discorso qui non ha più senso, è un presupposto che io non ho. Se diciamo che la morale è quella che vuole Dio e lui se ne fa garante, ok, allora suppongo che siano possibili MOLTE etiche senza alcun legame con la dimensione dialogica e dei rapporti di potere. Chi infrange va all’inferno, la sanzione è garantita, il giusto è assoluto ed a priori, dobbiamo solo scoprire qual è.
Siamo d’accordo che non è così? Allora gli unici garanti siamo noi. Ma se tu fai un esperimento mentale in cui mi togli QUALSIASI forma di negoziazione ponendomi di fronte ad un essere onnipotente, irrazionale, senza emozioni e inarrestabile allora è chiaro che l’etica non vale. E come se mi stessi dicendo “guarda che la tua etica non vale contro un vulcano attivo”. Lo so già, il vulcano attivo se ne frega, ma non è che il vulcano attivo diventa più buono e risparmia le case sui suoi pendii se io lo rimprovero o invento un’etica su come dovrebbero comportarsi i vulcani attivi. Invece una persona razionale ascolta quello che ho da dire e scopre che magari può guadagnarci, una persona emotiva può provare pietà per me, una persona limitata fisicamente può subire una mia ribellione violenta, una persona sola può godere della mia compagnia.
Credi che il tuo modo di ragionare sia più efficace perché tutela anche i deboli, ma i deboli, se sono COSI’ deboli, così deboli quanto NEANCHE GLI ANIMALI sono (così dipingi il tuo esperimento mentale, perché perfino gli animali quando tutto manca possono mordere…), non c’è sistema astratto al mondo che possa tutelarli.
Il tuo ragionamento è la religione aggiornata: consoli i deboli dicendogli che le loro sofferenze sono ingiuste, ma non le cancelli né riduci, quelle sofferenze. Magari li inciti a ribellarsi, questo sì… ma quello lo faccio anche io, perché io suggerisco alla gente di comportarsi nel modo più saggio e conveniente per se stessa, e per chi non ha nulla da perdere la ribellione è la strada più saggia. Magari gli dai un aiuto materiale… ma lo faccio anche io, un po’ perché li compatisco sinceramente (hanno questa forma di potere su di me, quello di impietosirmi) un po’ perché mi interessa avere degli amici ed una buona reputazione. All’atto pratico questa differenza che ti sembra tanto eclatante è meno di zero.
Vendi l’anima a Dio o al Diavolo per un sistema che ti dia quell’effimera soddisfazione di essere teoricamente assoluto e universale. Ti aspetta la delusione di scoprire che non ha neanche alcun legame con la realtà e dunque non serve assolutamente a niente, come tutte le cose astratte e universali aggiungerei…

Tu stai trattando la mia teoria malissimo perché non ne hai seguito il percorso. Mi tratti come un Singer qualunque, sostanzialmente, come se fossi uno che arriva bel bello e ti dice “secondo me bisogna comportarsi così”. Allora usi per “confutarmi” un metodo ordinario in filosofia morale: mostrare le conseguenze spiacevoli della massimo che ti ho dato.
Ma io non sto proponendo un assioma morale né un’autentica massima. Per questo ti sembra che per me possano essere tutte indifferenti le scelte etiche, perché primo non stai distinguendo il discorso su cosa la morale è dal discorso morale (filosofia della scienza contro scienza), e perché pensi che io stia proponendo una sistema di prescrizione. Invece il discorso che stiamo affrontando qui ancora sfiora marginalmente i contenuti delle prescrizioni, stiamo ancora parlando del contenitore.
Io non sto dicendo cosa l’etica dovrebbe essere secondo me proponendotelo. Io sto dicendo cosa l’etica E’, e basta, perché lo E’. Se non c’è il garante universale della norma astratta, e non c’è, l’etica è il frutto di una dimensione dialogica. Se sei credente puoi non accettare la mia posizione, ma se non lo sei accettarla è un obbligo razionale, l’etica deriva da lì. Anche semplicemente perché non c’è proprio nessun iperuranio da cui invece possa esserci generosamente calata. E’ vero, rispetto a questa mia descrizione di base, e cioè che l’etica deriva dal confronto (dialogico ma anche in minor misura da altri tipi di confronto), tutte le norme sono uguali. Però non sono uguali rispetto alle conseguenze pratiche che hanno una volta applicate, una norma tipo “tutti possono uccidere chi gli sta antipatico” mi renderebbe vulnerabile all’omicidio, ad esempio, visto che la gente che mi trova antipatico non manca.
Ti stai sforzando di dimostrarmi che non è vero che collaborare conviene, che essere renegade senza alcuna regola conviene almeno allo stesso modo. Be’, verosimilmente seguire il tuo consiglio mi porterebbe in prigione, e soprattutto gli altri si sentirebbero autorizzati a fare altrettanto, a essere renegade criminali nei miei confronti. Ma voglio per assurdo darti ragione: non conviene cercare di farsi degli amici, una serie di legami sociali, non conviene vivere in società organizzate secondo regole, non conviene coltivare doti di compassione, non conviene aiutare il prossimo. Conviene comportarsi sempre come stronzi, criminali, assassini e stupratori, senza nessuna remora razionale e senza nessun possibile appello alla pietà. Mi hai convinto.
Non vuol dire che cambia il mio sistema, perché esso è quasi tautologico: “conviene comportarsi come conviene” (solo che tenuto conto di TUTTI i fattori, presenti e futuri, sociali e ambientali, emotivi e razionali etc. etc). Se tenuto conto di TUTTI i fattori in gioco mi conviene essere una bestia umana, domani lo diventerò. Sei ancora ben lontano dal convincermi di questo, la mia esperienza mi dimostra che essere bestie umane non paga per niente, anche solo essere un po’ scorbutici o asociali ti dà delle grosse rogne. Ma se mi hai convinto che conviene così, allora non tocchi il mio sistema, perché è solo il contenitore. Cambi il contenuto: adesso hai dimostrato che tutti i nostri pregiudizi morali sono in realtà sbagliati e sconvenienti, ci guadagneremmo di più ad essere mostri. E l’hai dimostrato con il mio stesso impeccabile rigore logico, non si può rifiutare una simile dimostrazione. Se la gente sapesse che essere violenti, criminali e asociali è sempre, o almeno nella maggior parte dei casi, fonte di guadagno, suppongo che l’umanità starebbe molto meglio.

Sulla conclusione: Se esistessero tali strutture, non staremmo neanche a discutere se esistano, e se ci si debba comportare in questo o in quel modo. Sapremmo già da soli come comportarci. Poiché ne discutiamo, l’etica evidentemente si discute e non è un dato innato.

8 09 2013
Francesco

1) Ancora non fornisci spiegazioni. Dovrei forse crederti sulla fiducia? 🙂

2) Tu ragioni sempre per estremi e non consideri le condizioni intermedie, che sono poi quelle più frequenti nella realtà. Non dico che sono sempre tutti contro tutti: nella maggior parte dei dei casi abbiamo gruppi contro gruppi. Se avessi letto il lemma della Stanford Encyclopedia of Philosphy che ti ho linkato, avresti visto che la situazione è più complessa e meno banale di quello che credi tu. Non si tratta di puro esercizio, ma di capacità di astrazione dalle singole circostanze e dalle tue esperienze personali. Se astrarre ti scoccia, forse dovresti ripensare ai tuoi interessi filosofici 😀 Basarsi sul senso comune o su singoli esempi non conduce molto lontano. Non conosco ekdurt, ma il principio di autorità non mi è mai piaciuto.

3) Il tuo link rimanda al concetto retorico e non filosofico dell'”ethos” (per altro tratto da wikipedia, noto manuale di filosfia, addottato da scuole e università). Fidati (sic) che il concetto di ethos in retorica lo conosco bene (con tutte le sue implicazioni). Comuque, anche facendo riferimento alla pagina corretta di wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Etica), sbagli tu. Infatti, wikipedia riporta che «Si preferisce riservare la parola ‘etica’ per riferirsi all’intento razionale (cioè filosofico) di fondare la morale intesa come disciplina non soggettiva». Vorrei sottolineare l’aggettivo «filosofico», che, come saprai mira a necessità e universalità. Conferma del significato di “etica” in senso stretto si trova anche in una fonte un pochino più autorevole: http://www.treccani.it/enciclopedia/etica/ Quindi sei tu a parlare di argomenti sbagliati. Ma forse tu non vuoi fare etica, ma esporre principi morali (cioè di massime di comportamento, che possono non avere alcun fondamento necessario o univerale). Se vuoi parlare di morale, fai pure. Ma in questo caso le tue sarebbero solo opinioni, senza pretesa di validità razionale. Se è così, è inutile proseguire il discorso, dato che in questa prospettiva le tue opinioni sono altrettanto valide come quelle di chiunque altro.

Per quanto riguarda il tuo continuo parallelo tra scienza e morale, io non so se convenga continuare a insistere su questo punto, dato che i pesi delle due questioni mi appaiono assai diversi. Mi sembra che lo spunto alla costruzione del tuo sistema sia venuto da lì; forse però questo parallelo non è così solido. Il problema di dare basi sicure alla scienza è assai meno pressante che quello di darle all’etica. Anche se i presupposti filosofici della scienza odierna non sono condivisi (o anche qualora fossero errati), il danno non è grave, perché, come hai detto tu, comunque la scienza funziona, perché ci è chiaro cosa vogliamo ottenere (vantaggi tecnologici pratici; almeno oggi è così). Invece le basi del comportamento morale, se errate, possono condurre a conseguenze gravi nella nostra vita, portandoci all’infelicità (che alla fine è quello che ci preme). D’altronde, come ho già detto, proprio il fine in campo morale (cioè cosa vogliamo ottenere) non è condivso da tutti e quindi non è così facile dire che un sistema etico “funziona”, perché bisognerebbe vedere per chi e in base a quali paramentri funziona. Se quindi, le discussioni sulla filosofia della scienza possono esistere senza inficiare la pratica scientifica, le discussioni di filosofia morale (etica) influenzano eccome la pratica morale.

4) Primo punto: non credo nella giustizia divina (che, in effetti, non ho mai chiamato in causa, o sbaglio?). Sulla considerazione successiva, ti invito innanzitutto a rinunciare ad attribuirmi l’ipotesi dell’esistenza di enti onnipotenti, che, come ho già osservato prima, non è necessaria al mio discorso, ma che tu desideri sempre reintrodurre (probabilmente allo scopo di avvalorare la tua accusa che il mio sia un esperimento mentale…sebbene sia stato supportato con esempi ben concreti). Osservo poi, per l’ennesima volta, che tu ti poni sempre dal punto di vista di ciò che tu sei, dei limiti che hai e che ti sono imposti. Io non sostengo che la collaborazione non funzioni, ma non funziona sempre e non è detto che sempre sia praticata (vedi punto 3). Tu ti ostini a dire che sia così, ma alla fine scopri le carte sul perché lo credi (al di là di game theory e quant’altro): «la mia esperienza mi dimostra che essere bestie umane non paga per niente, anche solo essere un po’ scorbutici o asociali ti dà delle grosse rogne». La tua esperienza. Cioè quella di 1 individuo, in 1 preciso contesto, con precise esigenze. Per altri individui, in altri contesti o esigenze non è detto che la collaborazione paghi e che quindi sia applicata. Tu ritieni di aver trovato il “contenitore” etico, ma io non ne sono così convinto. Proprio la sua estrema “tautologia” lo rende praticamente privo di qualsivoglia utilità (cioè è come scoprire l’acqua calda). Infatti sccrivi: «Non vuol dire che cambia il mio sistema, perché esso è quasi tautologico: “conviene comportarsi come conviene” (solo che tenuto conto di TUTTI i fattori, presenti e futuri, sociali e ambientali, emotivi e razionali etc. etc)». Anche non tenendo conto di tutti i fattori presenti e futuri, sociali e ambientali, ecc. (cioè i condizionamenti esterni)….Come si fa a determinare cos’è conveniente? Perché è ovvio che tutti cerchiamo ciò che è conveniente a renderci felici. Ma in cosa consiste questo? Quali sono i parametri? È questa la domanda che si pone l’etica e a cui la semplice discussione intersoggettiva non può da sola dare risposta.
Del resto tu, escludi categoricamente (vedi le conlcusioni) l’esistenza di principi etici comuni a tutti gli esseri umani. Quindi su che basi scegli? Come determini il conveniente?

Credo poi di aver compreso bene il tuo sistema. Non sto affatto conducendo una crociata contro la collaborazione (è ovvio che serve), ma sto cercando di dimostrare che non può essere presa come unico fondamento del comportamento morale. La mia non è affatto una religione e non sto cercando semplicemente di costruire un sistema a difesa dei più deboli. Dubito però che, trovandomi in una posizione di forza (non assoluta, ma relativa), seguire il tuo sistema, cioè discutere e collaborare, risulterebbe il per me vantaggioso.

Sulla conclusione non sono assolutamente d’accordo. In molti altri campi abbiamo prova del fatto che noi non abbiamo conoscenza innata delle nostre strutture interne. Il fatto che non ne abbiamo conoscenza innata non vuol dire però che non esistano (ad esempio, non abbiamo conoscenza innata delle nostre strutture psicologiche e perciò occorre indagarle e discutrerle; ma ciò non vuol dire che non esistano).

8 09 2013
lostranoanello

1) No, puoi soprassedere perché si tratta solo ed esclusivamente di una metafora e di un parallelismo che ho trovato utili alla tua comprensione, e invece ti hanno depistato attirandoti sui sentieri astrusi della critica al realismo filosofico. Avessi previsto che avresti perso completamente di vista la questione centrale per concentrarti su quella secondaria, non l’avrei mai tirata in ballo 
Non è che potremmo fingere che non l’abbia mai fatto? 🙂
Il punto è, se anche avessi ragione sulla questione dei “dati oggettivi” (che per me non esistono), questo non avrebbe alcun effetto sulla parte che attiene all’etica.

2) Io invece considero PROPRIO le posizioni intermedie. Non ho mai detto che SEMPRE convenga collaborare. Ma in generale conviene, per questo l’evoluzione ha favorito la collaborazione, per questo esistono la compassione e il senso di equità, anche in specie animali non umane. È un principio generalmente affidabile, soprattutto a priori. Che lo sia sempre non mi interessa dimostrarlo appunto perché si va nel contenuto, e io sto parlando del contenitore. Anzi, ci sono casi in cui sicuramente collaborare non conviene. Non biasimo chi non collabora se so che collaborare non gli conviene. Però se non collabora allora io lo vedo come un nemico.
Per questo ti ho detto che non mi interessa dire “giusto” o “sbagliato”. Mi interessano le disposizioni e i comportamenti. Se non collabora con me io non collaboro con lui. Se collabora, probabilmente (sottolineo probabilmente) converrà anche a me collaborare, se no si andrà allo scontro. Giusto e sbagliato a priori non ci sono. Magari dopo, quando abbiamo deciso le regole del gioco, allora sulla base di quelle regole si definiranno “giusto” e “sbagliato”. Ma qua le regole le stiamo ancora formulando, finché non ci sono esiste solo la scelta se collaborare o lottare.

3) Non ti piace wikipedia, e non ti piace che io usi il termine etica per il mio sistema che parla di indicazioni su come comportarsi secondo norme comuni. Se troverai un nome migliore useremo quello, per ora lo chiamo comunque etica perché è la cosa che ci somiglia di più. Se per te etica è solo richiamarsi al principio assoluto, la necessità di accordarsi su un termine diverso allora diventerà impellente, perché dal mio sistema il principio assoluto e oggettivo a priori del comportamento non esiste. Il fatto che non ci sia il principio assoluto a priori non significa però che non sia possibile una discussione razionale sui principi da usare, anzi, viene portata avanti in continuazione. Può fallire? Sì, certo che può. Ma è comunque una delle frecce che gli umani hanno al proprio arco, cercare di mostrare al prossimo che collaborare conviene rispetto a lottare.

“Per quanto riguarda il tuo continuo parallelo tra scienza e morale, io non so se convenga continuare a insistere su questo punto, dato che i pesi delle due questioni mi appaiono assai diversi.”

E’ una metafora. Un’ottima metafora, ma avrei potuto fare qui la distinzione di filosofia della storia e storia, filosofia della mente e psicologia, filosofia della matematica e matematica. Una cosa è fare matematica, un’altra è parlare di matematica. Una cosa è studiare storia, un’altra è fare filosofia della storia. Una cosa è fare morale, e un’altra è discutere di morale (ovvero fare etica). Non ti ci fissare.

“Invece le basi del comportamento morale, se errate, possono condurre a conseguenze gravi nella nostra vita, portandoci all’infelicità (che alla fine è quello che ci preme).”

Bene, ti importa della felicità. Quindi ho ragione io, ci si comporta in maniera etica per ottenere un obbiettivo, e se non lo si ottiene non ha senso parlare ancora di etica.

“Se quindi, le discussioni sulla filosofia della scienza possono esistere senza inficiare la pratica scientifica, le discussioni di filosofia morale (etica) influenzano eccome la pratica morale.”

Non c’è differenza fra i due casi. Scegli la versione che ti piace di più: caso 1) in entrambi i casi la filosofia che c’è dietro conta, ma non è unica né determinante, 2) non conta in nessuno dei due casi. Ma non c’è base per pensare che le due cose siano diverse, basta conoscere un po’ di storia della scienza per rendersi conto del peso immane che i dibattiti filosofici hanno sull’orientare la scienza, determinandone i modi e i criteri: lo stesso metodo scientifico è codificato in termini filosofici, e senza il cambiamento di paradigma filosofico che lo ha generato non esisterebbe.
Avere ben chiaro quali sono gli strumenti che possiedi e gli obbiettivi che vuoi raggiungere è la base, in scienza come in morale. I risultati però non dipendono SOLO dal set di metodi che usi, non c’è un determinismo che permetta di dedurre a priori dal metodo scientifico le verità della natura: in mezzo ci vogliono osservazioni ed esperimenti. Non è diverso con l’etica, una volta stabilito il metodo comunque i risultati non ne discendono automaticamente.
Semplicemente quello che si deduce qui è che gli argomenti che hanno cittadinanza nel dibattito morale sono quelli che riguardano un qualche aspetto pratico e non quelli che riguardano principi a priori. Tutto qui, quindi si possono escludere ad esempio gli argomenti di Singer basati sul principio a priori del “diminuire la sofferenza”. Questo non significa che non si possa giungere a conclusioni molto simili o uguali a quelle di Singer, ma si dovrà farlo per un’altra strada.
E attenzione: escludere un argomento sbagliato è già un grosso risultato…

4) Non credi nella giustizia divina. Neanche Margherita Hack, eppure parlava spesso di un principio morale. Senza mai darne spiegazione, senza mai indagarlo, senza sapere che radici avesse… ma ne parlava comunque. Non era diversa dai religiosi in tal senso, aveva cambiato nome al principio, i religiosi dicevano Dio, lei dice “principio morale”, ma non è più argomentata la sua posizione di quella di Papa Francesco. E non lo è neanche la tua. La mia sì 😀
Vuoi esempi concreti in cui io non abbia nessuna voce in capitolo sull’etica?
Non esistono. Sono un inconcepibile, semplicemente. Posso agire ora per tutelare il mio futuro, posso intervenire nel dibattito, posso impietosire, posso reagire violentemente… se tu insisti a mettermi in una condizione in cui io non possa fare nessuna di queste cose stai facendo un esperimento mentale del tutto assurdo; perfino nella mia più pura passività posso comunque suscitare pietà; perfino se finissi in sindrome locked-in e nessuno se ne accorgesse, io potrei comunque contare sul mio testamento biologico (o sulla battaglia che fin quando potevo ho portato avanti per avere il testamento biologico). Qualcosa la posso sempre fare, il mio solo esistere già “negozia”. Anche perché tu continui a considerare determinante la questione temporale, ma quello che faccio ora ha effetti su quello che accadrà poi, quindi già il fatto che ORA io posso agire, che io ORA abbia voce in capitolo, automaticamente significa che ho un qualche voce in capitolo, magari ridotta, su tutto l’arco della mia esistenza.
Se tu mi spingi a immaginare circostanze in cui non abbia proprio nessuna possibilità di agire dialetticamente, rientriamo nella casistica del vulcano attivo. Se mi trovo colto nel sonno dalla colata di lava dell’etna, e non ho dunque davvero NESSUNA voce in capitolo, allora lì non vale nessuna dimensione dialettica. Te lo confermo, in casi come questo l’etica non sussiste, non esistendo la dimensione dialettica: non si discute con un vulcano, non c’è una morale dei vulcani, non sta scritto da nessuna parte come i vulcani dovrebbero comportarsi per seguire il “giusto”.

“Tu ti ostini a dire che sia così, ma alla fine scopri le carte sul perché lo credi (al di là di game theory e quant’altro): «la mia esperienza mi dimostra che essere bestie umane non paga per niente, anche solo essere un po’ scorbutici o asociali ti dà delle grosse rogne». La tua esperienza. Cioè quella di 1 individuo, in 1 preciso contesto, con precise esigenze. Per altri individui, in altri contesti o esigenze non è detto che la collaborazione paghi e che quindi sia applicata.”

Forse non lo è. Non mi interessa ORA dimostrarlo in assoluto (anche se è una posizione assolutamente solida e lo sai benissimo). Se non lo fosse non sarebbe comunque sbagliato il background di discussione che ho disposto, sarebbe semplicemente sbagliata l’idea che abbiamo avuto finora di un’etica come basata sulla collaborazione, sull’amore e sulla compassione… e in effetti in parte è davvero sbagliata se la si porta all’estremo.

“Tu ritieni di aver trovato il “contenitore” etico, ma io non ne sono così convinto.
Proprio la sua estrema “tautologia” lo rende praticamente privo di qualsivoglia utilità (cioè è come scoprire l’acqua calda).”

Dal punto di vista costruttivo non è particolarmente utile, infatti. Ma è fortemente distruttivo, e questo conta molto. Sgombra il campo da tutte quelle false filosofie che propongono i principi etici come assoluti, dati a priori e semplicemente da scoprire.
Fino a poco tempo fa infatti concordavi con me che non esiste una morale oggettiva messa lì semplicemente da scoprire con l’osservazione. Poi evidentemente hai preso gusto a contraddirmi, come spesso accade (non so perché attiro questo genere di reazione, è una specie di maledizione ^^’) e lì è finito il dibattito fruttuoso ed è iniziato il cercare di trovarmi le falle ad ogni costo, bloccando ogni progresso.
Guarda che il mio punto è in sostanza solo quello con cui concordavi: non c’è un principio morale a priori, ci sono comportamenti di convenienza. Poiché conviviamo, allora si ordinano tali comportamenti secondo norme implicite o esplicite che valgano un po’ per tutti i membri della comunità. Quindi ognuno porti il suo argomento sul perché dovrebbe essere ascoltata la sua proposta e non quella degli altri, ma non venga a dire che la sua norma è giusta perché corrisponde a qualche principio a priori, o perché osservando la morale comune gli pare che si basi su quel principio (il mio bersaglio dialettico preferito è Singer, ma andrebbe bene anche la Nussbaum: propongono il loro principio etico, e se lo analizzi vedi che non lo hanno dedotto da qualcosa di extraetico, ma è semplicemente un principio dedotto dall’osservazione di morali già esistenti con piccole modifiche per renderlo più grazioso)

“Credo poi di aver compreso bene il tuo sistema. Non sto affatto conducendo una crociata contro la collaborazione (è ovvio che serve), ma sto cercando di dimostrare che non può essere presa come unico fondamento del comportamento morale.“

Se tu dovessi avere ragione, allora non lo sarà. Non mi importa farne l’unico fondamento, se ci sono altre motivazioni pratiche interessanti che possano sostenere la costruzione di una prescrizione generale di comportamento, si possono portare avanti. Non c’è nessun modo per convincere qualcuno che dovrebbe seguire un certo comportamento, se non dimostrargli che in qualche modo gli interessa (e nel suo interesse) farlo, e questo significa automaticamente dover avere una dilaettica. C’è anche la dialettica violenta, posso convincerlo con la minaccia, se sono più forte (è tuo interesse fare come dico, se no ti picchio)… il che ci porta al punto successivo:
Certo se mi dai immensi poteri in mano questo non potrà essere senza influenza sul mio approccio all’etica, ma dipenderà da quanto sono grandi questi poteri. Se sono assoluti (se sono un vulcano attivo, senza limiti umani di alcun genere e privo finanche della coscienza) l’etica sparisce. Se saranno ridotti a zero, svanirà di nuovo (stavolta io sono invece del tutto impotente di fronte al vulcano attivo e dunque parlare di etica non ha senso comunque). Se sono molto grandi ma comunque limitati, una qualche etica sarà necessaria, un qualche generico scendere a patti sarà necessario: qualcosa mi limita, dunque non posso fare tutto quello che voglio senza conseguenze: sono dittatore dell’URSS, ma comunque ci sono gli USA che mi impediscono di fare quello che voglio, ci sono i miei gerarchi comunisti che potrebbero rovesciarmi, il popolo che potrebbe rivoltarsi… non posso fare proprio TUTTO il mio comodo, anche se magari ci vado vicino. Che tipo di etica sarà quella che nasce dipenderà dalle circostanze, dipenderà da quali sono i miei limiti.

“Sulla conclusione non sono assolutamente d’accordo. In molti altri campi abbiamo prova del fatto che noi non abbiamo conoscenza innata delle nostre strutture interne. Il fatto che non ne abbiamo conoscenza innata non vuol dire però che non esistano”

Ma funzionano. Vediamo, udiamo, parliamo. Se iniziassero a non funzionare più in fette gigantesche di popolazione, dovresti concludere che non sono affatto innate e universali. La Shoah è la prova che tali strutture non ci sono, e che se qualcosa che gli somiglia esiste è difettoso e facilissimo da eludere.

8 09 2013
Francesco

1) D’accordo. Ma allora metti un freno alle similitudini (le tue sono in genere similitudini e non metafore). 😀 Stessa cosa per quanto riguarda la similitudine storia della scienza/scienza, a cui non rispondo e lascio cadere (sempre che tu non ti opponga) 🙂

2) Nelle situazioni intermedie, come dici tu, non è detto che collaborare sia sempre la scelta più vantaggiosa per l’individuo. Mi fermo qui, riprendo il discorso più avanti, perché prima ho bisogno di analizzare gli altri punti.

3) La definizione del campo conoscitivo in cui ci muoviamo è importante, altrimenti, come dicevo, potremmo parlare di etica come di cuicina. Tu dici «Il fatto che non ci sia il principio assoluto a priori non significa però che non sia possibile una discussione razionale sui principi da usare, anzi, viene portata avanti in continuazione. Può fallire? Sì, certo che può. Ma è comunque una delle frecce che gli umani hanno al proprio arco, cercare di mostrare al prossimo che collaborare conviene rispetto a lottare». Usi due volte la parola “principi”, ma, se seguo correttamente il tuo pensiero, è chiaro che nel secondo caso ha un significato diverso. Se il principio, come in genere si intende, è qualcosa di assoluto, allora, come dicevo prima, tu parli di “massime”, cioè di consigli, suggerimenti di saggezza, dotati di validità empirica, ma non estendibili a ogni situazione. Su questo, come ho già detto, non ti posso contestare, poiché una massima in alcuni casi (magari la maggioranza) può funzionare, in altri no. Forse anche il non aver definito bene i nostri concetti ci porta a non intenderci.

4) Vorrei mettere in chiario che non sto cercando di annientare a tutti i costi il tuo sistema, ma vorrei solo farti notare che forse non su tutti gli aspetti e così solido. Io, come ho già detto, non ho un mio sistema perfetto, ma se incontrassi uno che ce l’ha lo adotterei al volo. Prima però non posso esimermi da un approfondito esercizio del dubbio. Dubito infatti che il tuo sistema sia completo ed esente da aspetti dubbi, altrimenti o avresti trovato la ricetta per vivere felice (e non staresti qui a discutere con me) o come minimo avresti una cattedra di filosofia a Harvard (forse ce l’hai, ma io non lo so…scrivi da Boston per caso?) 😀

Sulla quesione “voce in capitolo” non ci siamo compresi. La questione temporale non conta; aver avuto voce capitolo in passato non dà per scontato che avrai voce capitolo in futuro (forse lo farà, o forse no). Ribadisco che il mio non è un esperimento mentale irrealizzabile. Intendo dire che tu puoi trovarti in situazioni tali per cui ovviamente ti rimane libertà di azione e di parola, ma tale libertà ha valore contrattuale bassissimo o nullo, perché non hai nulla da offrire all’interno del contratto morale. Se sei in una posizione di netta inferiorità, dovrai ricorrere a metodi extraetici. Per esempio dovrai ribellarti fisicamente per ottenere accesso alla comunità etica detentrice del potere. Questo potrebbe voler dire ricorrere, ad esempio, all’omicidio. Questo può essere un buon esempio. Accetteresti l’omicidio? Probabilmente mi dirai di sì, perché ciò sarebbe parte della ricerca del tuo vantaggio. Penso che però, ora, nella situazione in cui ti trovi, tu non sia favorevole all’omicidio. Questo vorrebbe dire che la tua stessa etica muterebbe a seconda delle circostanze e di ciò che ti conviene di più. In effetti concorderebbe con quanto scrivi:

«Guarda che il mio punto è in sostanza solo quello con cui concordavi: non c’è un principio morale a priori, ci sono comportamenti di convenienza. Poiché conviviamo, allora si ordinano tali comportamenti secondo norme implicite o esplicite che valgano un po’ per tutti i membri della comunità. Quindi ognuno porti il suo argomento sul perché dovrebbe essere ascoltata la sua proposta e non quella degli altri, ma non venga a dire che la sua norma è giusta perché corrisponde a qualche principio a priori, o perché osservando la morale comune gli pare che si basi su quel principio (il mio bersaglio dialettico preferito è Singer, ma andrebbe bene anche la Nussbaum: propongono il loro principio etico, e se lo analizzi vedi che non lo hanno dedotto da qualcosa di extraetico, ma è semplicemente un principio dedotto dall’osservazione di morali già esistenti con piccole modifiche per renderlo più grazioso)».

Posso acccettare questa idea di convenienza. Però (e qui stava il punto in origine), vorrei solo fosse chiaro che, prima ancora della constatazione di condizionamenti esterni, l’etica individuale si baserebbe solo su massime momentanee. Ciò vuol dire che, se non trovassi davanti a me limiti esterni in grado di fermarmi o di garantirmi una contropartita soddisfacente, sarei anche autorizzato a praticare l’omicidio. Al di là delle polemiche, sarei lasciato in balia dell’anarchia soggettiva (cioè all’interno del mio): non avrei riferimenti. Forse è così, ma vorrei che fosse chiaro e che poi non ci si tirasse indietro davanti a questa conclusione.

Tu infatti cerchi di “salvare” la situazione presentando la convenienza della collaborazione intersoggettiva. Ma anche questa è una massima. Non è né necessaria né universale. È una massima tanto buona quanto “amare è meglio che odiare”. Di per sé, se applicata sempre (cioè se universalizzata), produrrebbe un effetto probabilmente analogo all’imperativo categorico di Kant («Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di legislazione universale»). Solo che la differenza sta proprio qui: Kant dimostra (basandosi sulla natura razionale dell’uomo) che questo è un principio universale e necessario, mentre nel tuo caso è solo una massima di comportamento (un consiglio). La Shoa non prova nulla in questa prospettiva, perché la conoscenza di ciò che è giusto, non produce di necessità la scelta di ciò che è giusto (mentre nel tuo sistema ciò che è giusto viene dedotto da ciò che è utile, quindi il problema non si pone): anche persone con saldi principi morali di tipo religioso (quindi, per loro, assoluti), non sempre li seguono (peccano, direbbe un cristiano).

Ora, il tuo sistema fondato sulla massima della collaborazione, può essere utile, ma non ci porta alla verità (non è una guida sempre valida) e quindi non è detto che sia accettato da tutti in ogni tempo e luogo. Io mi domando (ma non dico che sia vero) se non esistano invece dei principi innati che sono inscritti in noi (magari come parte del nostro essere razionali), ma che siamo anche liberi di trasgredire. La differenza è un po’ sottile, ma rilevante secondo me. Nel tuo caso, se ci trovassimo dominati non avremmo speranza (poiché la giustizia nasce dopo le scelte); nella mia ipotesi un sistema di giustizia ci sarebbe a priori, ma conserverebbe sempre la possibilità di essere eluso. Che ne dici? Possiamo concordare su questa possibilità? Come vedi non sto procedendo a distruggere il tuo sistema per edificarne un altro, ma suggerisco ti esplorarlo in tutti suoi aspetti e osservare se non ci sono alternative valide 🙂

8 09 2013
lostranoanello

“se seguo correttamente il tuo pensiero, è chiaro che nel secondo caso ha un significato diverso.”

Nel secondo caso parlo di regole o leggi. Viviamo in una comunità. Con l’eccezione delle leggi della fisica, l’unico limite reale al mio arbitrio sono gli altri individui, e parimenti io rappresento un limite per loro. Poiché bene o male con gli altri umani abbiamo in comune una base di razionalità e alcune somiglianze anche riguardo ad istinti ed emozioni, regoliamo le nostre società sulla base di norme generali. Dunque sta scritto che non si ucciderà tranne che in casi particolari (es. legittima difesa, stato di necessità, guerra). La regola ha un senso se la rispettano tutti, lì sta la sua autorità implicita ed è anche l’unica ragione che possa convincere qualcuno di riluttante a condividerla. Dopo che è stata decisa, allora essa stabilisce un confine artificiale fra il giusto e lo sbagliato.
Ma le leggi mica sono universali ed eterne, possono essere discusse e cambiate, e conseguentemente anche la definizione di giusto e sbagliato può esserlo. Su che basi e con che metodi si muove e sviluppa un processo che porta le regole a cambiare o a restare uguali? Su una dialettica che riguarda coloro che le formulano.
La famosa universalità della norma, kantiana, io la riconosco ma non come basilare e motivante, ma come accessoria rispetto alla convenienza di chi abbraccia il sistema di norme. Questo significa che in casi limite, come il vulcano attivo, non ci sono proprio norme.

Dubito infatti che il tuo sistema sia completo ed esente da aspetti dubbi, altrimenti o avresti trovato la ricetta per vivere felice

La parte descrittiva, quella in cui descrivo da dove si origine l’etica, è assolutamente esente da dubbi: si origina da una dialettica. Esistono chiaramente dei dubbi invece nel momento pratico in cui questa dialettica dev’essere portata avanti… non posso essere del tutto sicuro che tutte le mie scelte siano corrette e le migliori, non sono onnisciente.

o come minimo avresti una cattedra di filosofia a Harvard

Magari un giorno l’avrò 🙂 Ho scritto un paio di articoli più “professionali” destinati a riviste, ma non mi decido a spedirli, anche perché non credo molto nella meritocrazia in questi ambiti.

La questione temporale non conta; aver avuto voce capitolo in passato non dà per scontato che avrai voce capitolo in futuro

Mi dà voce in capitolo SUL futuro. Mi sa che confondi il non avere voce in capitolo, caso limite che in società non esiste, con l’averne poca. Prendi un ebreo nel Terzo Reich: difficile immaginare qualcuno che abbia meno voce in capitolo sulle questioni sociali… Eppure può fare ancora tante cose: può scappare, può ribellarsi con la violenza (non vincere, ma ribellarsi lo può, fare dei danni lo può), può appellarsi alla compassione, suscitare pietà, e magari di là passa uno Schindler su cui funziona, su cui il solo esistere dell’ebreo come essere umano fa un effetto. Sicuramente ha poca voce in capitolo, ma ne ha, ho fatto solo alcuni degli esempi di in che modo l’ebreo di Auschwitz non è comunque completamente annullato. Ha bassissimo potere contrattuale, ma non ha potere contrattuale nullo e sono due condizioni radicalmente diverse, bassissimo non è nullo.

se non trovassi davanti a me limiti esterni in grado di fermarmi o di garantirmi una contropartita soddisfacente, sarei anche autorizzato a praticare l’omicidio.

Questa fa il paio con la tua domanda “accetteresti l’omicidio?”
La domanda che mi poni può avere molti significati diversi. Quando tu mi chiedi se saresti autorizzato, io la metto in modo radicalmente diverso: ti servirebbe la mia autorizzazione? Tautologicamente, no, hai descritto una situazione in cui io non conto nulla: non ho modo di convincerti, non ho modo di suscitare pietà, non ho modo di costringerti con la violenza… non hai limiti, sei come il vulcano. Non ha nemmeno senso domandarmi se ti autorizzerei, non ti serve saperlo, non ti interessa nemmeno (già solo interessartene mi darebbe del peso contrattuale, quindi contravverrebbe all’ipotesi iniziale). La domanda potrebbe avere senso se posta nelle due forme che seguono:
1) “Mi biasimeresti?”
2) “Ti rassegneresti pacificamente?”
E le risposte sono: sì, no. Siamo in una situazione in cui non c’è dialettica, non ti biasimerei come non biasimo un vulcano attivo o una zanzara che mi punge; non avvertirei il senso di rivolgerti rimproveri. Questo non vuol dire però che mi lascio investire dalla lava o pungere dalla zanzara, questo non c’entra niente. Magari non te ne accorgerai nemmeno o te ne fregherai perché sei troppo più potente e insensibile di me, ma io farò di tutto per oppormi, appunto perché non ci sono regole che me lo impediscano. Dialettica: non ci siamo mai solo io o solo tu, quello che fai tu influenza quello che faccio io e viceversa.

Tu infatti cerchi di “salvare” la situazione presentando la convenienza della collaborazione intersoggettiva.

No, ti assicuro che se mi convinci davvero che la collaborazione intersoggettiva è, per metterla come dici tu, un “cattivo consiglio”, la abbandono. O Magari la porterò ancora avanti, ma usandola come conveniente menzogna per manipolare gli altri a mio vantaggio 😛
Per ora io sono nettamente convinto che uno che collabora sempre stia comunque meglio di uno che tradisce sempre, e che dunque come tendenza generale sia meglio collaborare. Seguirò questa massima e la pubblicizzerò con chi incontro; questo non significa che io collabori sempre, anzi, so perfettamente che spesso c’è da trasgredire. Non è un principio universale, appunto, ma un consiglio. Ma finora ho detto proprio che i principi universali non esistono, quindi non mi sento incoerente 😛

La Shoa non prova nulla in questa prospettiva, perché la conoscenza di ciò che è giusto, non produce di necessità la scelta di ciò che è giusto

Se leggi i discorsi e gli scritti dei nazisti ne risulta evidente un assoluto fanatismo che non esiterei a definire moralistico. Erano davvero convinti di fare qualcosa di giusto e necessario. Puoi dirmi che erano tutte bugie e mandare a farsi friggere il principle of humanity e il rasoio di Ockham, ma io vedo che lo zelo persecutorio è sempre giustificato da cause morali; non avviene nonostante la morale, non avviene neanche, addirittura, indipendentemente da propositi morali, ma di solito viene proprio interamente giustificato dal fervore morale.
Ma anche non volendosi addentrare nella psicologia del fanatico, qualsiasi antropologo può confermarti che le norme morali cambiano anche TUTTE soltanto cambiando le condizioni storiche o la locazione geografica. Anche i principi più basilari, come non uccidere o non rubare, in realtà sono cambiali in bianco, perché sono sempre ammesse delle eccezioni che in ogni società cambiano. Una delle basi su cui criticavi il mio parallelismo fra scienza ed etica è proprio, testuali parole, che nell’etica i dati di partenza sono soggettivi. E questo è tragicamente indubitabile, ci sono tante etiche quanti i popoli del mondo, e sono tutte radicate, credute, applicate, amate nello stesso modo. Si può anche sostenere qualcosa di simile a quello che fanno i credenti: Dio è uno solo, ma solo noi abbiamo capito qual è. Però non è ragionevole. Se ci sono un milione di morali diverse, allora una cosa emerge lampante, stando al vecchio Ockham: che non ne esiste una innata, universale e fondamentale alla base di tutte loro.
Ma anche se ci fosse? Che cambierebbe? Abbiamo un essere, cosa c’entra col dover essere? Potrei comunque ritenere che sia meglio per una volta, o anche più di una volta, andare contro questo mitologico principio innato, perché mi conviene di più. Potrei pensare di spazzarlo via agevolmente. Conviene comportarsi come conviene, o no? Non è detto che io debba comportarmi come dice il mio presunto “istinto morale”, perché ci sono anche altri istinti ed altre motivazioni. Guarda che è successo: magicamente è venuto fuori quello che si sapeva dai tempi di Hume, non puoi ricavare una prescrizione da un crudo fatto. Stai chiamando “morale” una certa inclinazione innata, ma la realtà è che io sono in condizioni tali da dubitare che quell’istinto sia davvero “giusto” o “morale”.
Perché? Perché non mi impone limiti categorici né sanzioni dovute alla disobbedienza.
A meno che tu non voglia sostenere il classico “tutti i malvagi sono infelici”. Che sarebbe una forma perfino potenziata del mio argomento a favore della collaborazione e che hai tanto criticato …

8 09 2013
lostranoanello

Comunque ho letto la voce sulla teoria dei giochi in etica che mi hai linkato, e onestamente non ho visto queste critiche fondamentali che dovrebbero farmi cambiare idea sull’efficacia della cooperatività. Anzi, contiene o cita varie dimostrazioni della sua efficacia nel massimizzare i risultati per se stessi.
Magari evidenziami quali sarebbero secondo te le critiche più significative, perché io onestamente non ne ho viste… Forse l’unica riguarda il fatto che non è detto che ci sia un solo equilibrio ottimale. E va be’, se ce ne sono di più equivalenti possiamo anche sceglierne uno a caso, non mi sembra un problema.
Certo, la teoria dei giochi prevede comunque l’inganno e la fregatura: se io ho reputazione di non tradire mai, quella volta che tradisco potrei facilmente passarla liscia. Ma resta il fatto che di solito mi conviene non tradire. Ecco, magari non è vero che la cosa migliore è “non tradire mai”, e io questo l’ho detto sin da subito; ma è assolutamente vero che convengono strategie o equilibri misti con una prevalenza della collaborazione, ovvero in cui i traditori sono pochi, oppure sono tanti ma sono occasionali.

8 09 2013
lostranoanello

Vorrei aggiungere ancora un paio di cose: la riflessione filosofica non ha caratteristiche che le siano proprie essenziali, visto che è proprio una disciplina che non dà per scontato neanche il proprio stesso ruolo.
Nella fattispecie, io chiamo sicuramente filosofia discutere su cosa sia l’etica. Ma non trovo che poi FARE etica possa essere ancora chiamata filosofia, appunto perché è una questione pratica. Io posso seguirti negli esperimenti mentali, ma solo fino a un certo punto, poi diventa insensato. Se è per questo c’è chi mi ha proposto l’esperimento mentale per cui domani mi trasformo in animale. Non ha alcun senso preoccuparmi di una tale prospettiva, non mi posso trasformare in animale. La mia posizione filosofica è proprio che l’etica sia tutta una disciplina pratica, e debba come tale attenersi a casistiche reali o realistiche. E’ facile immaginare condizioni ideali in cui l’omicidio indiscriminato sarebbe giustificato: ad esempio possiamo immaginare una specie civilizzata presso la quale essere uccisi è necessario per riprodursi, e non solo, l’evoluzione ha reso la morte violenta anche incredibilmente piacevole. Facile immaginare che l’omicidio in una simile società diventerebbe un sacrosanto dovere morale, o quanto meno sarebbe molto ben visto. Ma ha senso un simile esperimento mentale per noi? Non è quella la società in cui viviamo, dobbiamo trattare di un numero di casi che possano realisticamente presentarsi.

Altro punto, quando mi chiedi se “accetterei” di essere annientato da un essere superiore. Io la pongo in tutt’altro modo: ho scelta? Come ho già chiarito, “giusto” non vuol dire niente se non “conforme a regole concordate”. Le regole concordate sono dunque giuste per definizione. Adesso però discutiamo delle regole; non è detto che siano tutte opportune o gradite, ma superiamo anche questa ulteriore distinzione dal sapore astratto e andiamo dritti al pratico: come mi comporterò io rispetto a regole che mi sono univocamente, totalmente, universalmente e sotto ogni aspetto svantaggiose? Negozierei la mia opposizione, e poiché non ho niente da perdere, mi opporrei con ogni forza. E’ possibile anche che io possa avere del biasimo, ovvero io possa ritenere sciocco o universalmente dannoso questo comportamento da parte vostra, quasi sicuramente lo è. Ma se davvero siamo nel caso, del tutto ipotetico (ti sto seguendo in un esperimento mentale assurdo, ma siccome lo sto facendo per provare il punto filosofico, e non l’argomento etico, mi va bene) che voi abbiate tutto e solo da guadagnare e io tutto e solo da perdere, probabilmente non sentirei neanche il senso di biasimo nei vostri confronti. Distintamente da ciò, mi ci opporrei chiaramente, semplicemente perché non ho nulla da perdere.
Per questo il mio invito a superare la semplice dicotomia giusto/sbagliato. Di per sé è un’astrazione priva di significato. Però ci sono di mezzo le nostre sensazioni (il biasimo, il disprezzo, la rabbia, il senso di sopruso), e sopratutto i nostri comportamenti (negoziare, ribellarsi, sottomettersi). Domandi se mi ribellerei? Ma è chiaro che mi ribellerei. Hai descritto una situazione in cui non ho alcuna voce in capitolo e non esiste dialogo, dunque una situazione in cui non esiste etica. Ma se non hanno etica gli oppressori, non ce l’ho neanche io. Se poi perdo, perdo… credere che un’etica ci sia comunque anche in casi così estremi non mi salverà, sarò sconfitto comunque, stanti le condizioni assolutamente squilibrate che hai descritto.
Non è importante se la terra sia tonda o non lo sia, l’importante è far funzionare i satelliti. Non ha importanza se la schiavitù o lo stupro siano giusti o sbagliati, ha importanza la domanda “come comportarsi di fronte a stupro e schiavitù?”
Considera una rivoluzione copernicana dell’etica, ma la domanda è proprio posta male: non mi serve sapere cosa è giusto o sbagliato per decidere come comportarmi, è proprio il contrario. Decido come mi conviene comportarmi e da lì derivano il giusto e lo sbagliato.
Certo, c’è un aspetto che sin qui ho un po’ trascurato, ma è fondamentale, e cioè il fatto che l’etica non riguarda solo me, ma tutti. E se riguarda tutti, deve avere una struttura di tipo normativo che decide il lecito e il non lecito. Ma questo, in realtà, accade dopo le considerazioni di carattere pratico/utilitaristico, e discende da queste considerazioni.

7 09 2013
Eli

Non ho letto i commenti (solo l’articolo)
Quando leggo di questi diritti che avrebbero gli animali (ma solo quelli pucciosi) perchè hanno dei sentimenti e blah blah, credo si stia perdendo di vista il punto principale: i “diritti” sono una cosa inventata dagli uomini, non esistente in natura, e che hanno un valore solo dove la società è presente per farli applicare. Esempio banale, in certi paesi dove il governo è assente o in mano a milizie instabili, per gli esseri umani non c’è nemmeno il diritto alla vita. Arriva tizio, vuole le tue capre, ti spara, non succede nulla. Diritto inesistente.

In Italia, i gatti hanno diritto a non essere uccisi e mangiati, perchè c’è una legge che lo vieta e i trasgressori sono (almeno teoricamente) punibili. Però non hanno “diritto” a mangiare ogni giorno, se sono di colonia. Non c’è una legge che dice “se vedi un gatto, sfamalo” compresa di multa se trasgredisci. Se il gatto è per strada, mangiare son fatti suoi. Un gatto non ha “diritto a una famiglia amorevole e coccola”. Si ok a lui piacerebbe, ma il “diritto” non c’è!!

8 09 2013
Francesco

scusami, ho fatto un po’ di errori di battitura :/

8 09 2013
Francesco

Caro lostranello, forse è colpa mia che prima non ho focalizzato il mio punto. Riparto da questa tua osservazione e ti rispondo:

«Si può anche sostenere qualcosa di simile a quello che fanno i credenti: Dio è uno solo, ma solo noi abbiamo capito qual è. Però non è ragionevole. Se ci sono un milione di morali diverse, allora una cosa emerge lampante, stando al vecchio Ockham: che non ne esiste una innata, universale e fondamentale alla base di tutte loro.
Ma anche se ci fosse? Che cambierebbe? Abbiamo un essere, cosa c’entra col dover essere? Potrei comunque ritenere che sia meglio per una volta, o anche più di una volta, andare contro questo mitologico principio innato, perché mi conviene di più. Potrei pensare di spazzarlo via agevolmente. Conviene comportarsi come conviene, o no? Non è detto che io debba comportarmi come dice il mio presunto “istinto morale”, perché ci sono anche altri istinti ed altre motivazioni. Guarda che è successo: magicamente è venuto fuori quello che si sapeva dai tempi di Hume, non puoi ricavare una prescrizione da un crudo fatto. Stai chiamando “morale” una certa inclinazione innata, ma la realtà è che io sono in condizioni tali da dubitare che quell’istinto sia davvero “giusto” o “morale”.
Perché? Perché non mi impone limiti categorici né sanzioni dovute alla disobbedienza».

In effetti, se leggi quello che ho scritto, io non nego affatto che, qualora ci fosse anche un principio morale, esso potrebbe essere eluso: si tratterebbe pur sempre di una legge morale, non fisica; quindi non vincolante in senso assoluto. Quindi su questo aspetto non ha senso che mi contesti, perché già lo concedevo.

Quello che io sto cercando di portare in risalto (e scusami per la lunghezza del processo, ma devo anche capire come la pensi tu) e che prima che una dialettica esterna tra i membri del contratto sociale, occorre che il singolo decida quali sono i suoi fini, cosa ricerca e che decida anche cosa decida di cedere durante la negoziazione e cosa no. Ora, ponendo che sia come dici tu, ossia che non esistano principi di giustezza a priori, ma solo delle massime di comportamento, come ci regoliamo su questo aspetto? Quando parlavo dell’omicidio, mi sono espresso male. Io non chiedevo a te di giustificarlo per me, ma chiedevo “è possibile che lo stesso individuo, in due circostanze diverse, giustifichi a se stesso l’omicidio?”. Giustifichi non vuol dire soltanto che lo scelga, ma vuol dire che lo ritenga non corretto in base ai propri principi (soggettivi; massime generali soggettive se vuoi…non so). Può anche accadere infatti che una persona ritenga non-giusto un comportamento in sé e per sé, ma giustificabile a seconda delle circostanze, ossia che scenda a compromessi con la realtà, negando parte dei principi che soggettivamente ha accettato. Oppure che lo ritenga non-giusto, giustifichi il proprio comportamento quando trasgredisce, e poi si penta in seguito. Proprio di questo compromesso avevo parlato in uno dei miei primi commenti, in riferimento alla sperimentazione animale. In questo senso non capisco che aiuto può dare la tua etica. Forse non ne dà; e questo forse è il senso di quando dici che non sei onniscente (auguri per Harvard btw! 🙂 )

Però a questo punto è chiaro che, come ho detto, nelle nostre scelte soggettive siamo senza guida (anche il principio di collaborazione non funziona necessariamente, e infatti non è un principio assoluto; è una buona massima, ma non un principio). Non prendo più nenache in considerazione l’esistenza di un principio morale uguale per tutti, dato che tu lo neghi e che comunque difenderlo qui non è il mio interesse (ma siamo sicuri che l’antropologia neghi l’esistenza di alcuna costante tra le varie culture?). Se non ci sono principi comuni è qualcuno elabora la massima soggettiva secondo cui la sua felictà passa attraverso l’annientamento di un altro popolo, che diritto abbiamo noi di dirgli che ha torto? La sua decisione lui l’ha già presa. Ci resta la possibilità di opporglisi nel campo del dibattito morale. Ma, se la sua forza o la forza di quelli che la pensano come lui è preponderante, il nostro potere contrattuale sarà molto basso (ok, sul nullo ammetto l’errore; ho esagerato). Se è basso, sarà scarsamente efficace. Tu porti il caso degli ebrei, dicendo che non erano privi di qualsiasi potere contrattuale. Ok, lo concedo. Ma il loro potere contrattuale era talmente basso che, anche se alla fine il nazismo è risultato sconfitto, intanto per 5 anni in gran parte d’Europa la dottrina etica dominante è stata quella dello sterminio e il risultato pratico è stato che 5-6 milioni di ebrei sono comunque morti. Qualcuno avrà giocato la carta della compassione o della fuga, ma si tratta di una minoranza esigua.

Conclusione.

1) Se il mio ragionamento è corretto (e qui la palla passa a te) vuol dire che la mia principale preoccupazione deve essere innanzitutto quella di garantirmi la posizione di maggior preminenza possibile all’interno del dibattito etico, così da poter essere sicuro di poter difendere il mio interesse (in questo senso non avrei grande responsabilità verso gli altri; la responsabilità potrei esercitarla, forse, dopo, una volta acquisita un posizione di preminenza relativa all’interno del dibattito etico). Che ne pensi? Mi sembra che questo sia ciò a cui conduce il tuo sistema.

2) Resterebbe comunque sempre il problema di come decidere su questioni meramente soggettive (del tipo: “per me, prima ancora di confrontarmi con gli altri esseri umani, la vita di un malato conta più o meno di quella di un animale?” o, posta in temrmini forse più vicini a te. “biasimerei una persona che pone la vita di un animale davanti a quella di una persona?” È una domanda semplice forse, ma il fatto che esistano persone cha danno risposte diverse dalla mia e dalla tua forse suggerisce che tanto semplice non è).

8 09 2013
lostranoanello

“prima che una dialettica esterna tra i membri del contratto sociale, occorre che il singolo decida quali sono i suoi fini, cosa ricerca e che decida anche cosa decida di cedere durante la negoziazione e cosa no.”

Questo è un confronto con se stessi. Sì, tocca farlo un po’ a tutti. Chi lo sbaglia finirà male.

“è possibile che lo stesso individuo, in due circostanze diverse, giustifichi a se stesso l’omicidio?”

Se l’ha scelto, lo ha ritenuto opportuno, solo gli esiti diranno se era giusto o meno. Il problema è un altro, e cioè che le formulazioni che vengono proposte sono regole che coordinano relazioni interindividuali. Non c’è solo lui. Questo significa che una volta che queste regole sono state formulate, sono generali e vincolanti. Devono esserlo, altrimenti nessuno vi aderisce o ci crede, no?
Ribadisco, se la regola è stata stabilità, essa è il parametro del giusto e dello sbagliato. La discussione di tipo utilitaristico si porta avanti prima, quando si deve decidere le regole.
Come spiegai prima attraverso un esperimento mentale, sono sicuramente possibili situazioni, o reali o ipotetiche, in cui tutte le regole stabilite vadano sovvertite. Però è sempre un lavoro fatto sulle regole, non nonostante le regole.
Resta chiaro che se uno non ha bisogno di regole se ne fregherà in ogni caso.

Però a questo punto è chiaro che, come ho detto, nelle nostre scelte soggettive siamo senza guida (anche il principio di collaborazione non funziona necessariamente, e infatti non è un principio assoluto; è una buona massima, ma non un principio).

A me una buona massima basta. Una regola assoluta mi starebbe strettissima e si rivelerebbe sicuramente sbagliata in una molteplicità di casi. Accettiamo regole assolute perché è l’unico modo per avere la certezza del diritto, altrimenti ne faremmo volentieri a meno. Se esistesse il magistrato perfetto (Dio) non avremmo bisogno di regole assolute, anzi, sarebbero dannose: deciderebbe tutto lui.
E in realtà le regole che accettiamo sono travestite da assolute: siamo consapevoli che possono cambiare o svanire, la loro rigidità è un’utile illusione, una convenzione che serve a mantenerle vive.

Se non ci sono principi comuni è qualcuno elabora la massima soggettiva secondo cui la sua felictà passa attraverso l’annientamento di un altro popolo, che diritto abbiamo noi di dirgli che ha torto? La sua decisione lui l’ha già presa. Ci resta la possibilità di opporglisi nel campo del dibattito morale.

Esatto. Personalmente la domanda che mi interessa è solo quella: che posso fare io, che mi conviene fare? E quella domanda ha una risposta.

1) Se il mio ragionamento è corretto (e qui la palla passa a te) vuol dire che la mia principale preoccupazione deve essere innanzitutto quella di garantirmi la posizione di maggior preminenza possibile all’interno del dibattito etico, così da poter essere sicuro di poter difendere il mio interesse (in questo senso non avrei grande responsabilità verso gli altri; la responsabilità potrei esercitarla, forse, dopo, una volta acquisita un posizione di preminenza relativa all’interno del dibattito etico). Che ne pensi? Mi sembra che questo sia ciò a cui conduce il tuo sistema.

Ovvero, preoccuparsi di essere “nel giusto”. Sì, è la cosa che conviene fare 🙂
Come si è nel giusto? O mutando gli equilibri di potere in modo che siano gigantescamente spostati verso di noi, oppure negoziando alla pari con gli altri. Di solito la seconda è più facile.

2) Resterebbe comunque sempre il problema di come decidere su questioni meramente soggettive (del tipo: “per me, prima ancora di confrontarmi con gli altri esseri umani, la vita di un malato conta più o meno di quella di un animale?” o, posta in temrmini forse più vicini a te. “biasimerei una persona che pone la vita di un animale davanti a quella di una persona?” È una domanda semplice forse, ma il fatto che esistano persone cha danno risposte diverse dalla mia e dalla tua forse suggerisce che tanto semplice non è).

Qui hai confuso un po’ le acque. La prima domanda e la seconda sono molto diverse. PER ME la vita di un malato può anche non contare niente. Sarò biasimato per questo? Senza dubbio sì dai malati, senza dubbio sì dai loro parenti, senza dubbio sì da tutti quelli che la pensano in un altro modo, e che magari si sono impegnati per farmi del bene e si vedono adesso scavalcati da un topo di laboratorio. Le risposte alle due domande possono essere del tutto opposte, perché la prima non chiama in causa un confronto interindividuale, la seconda invece sì. Prima di confrontarmi non ho alcun limite, dopo ne ho un bel po’.

8 09 2013
Francesco

1) Ok, quindi «giusto» coincide con ciò che è socialmente accettato. Va bene, ma resta che corriamo dei rischi non da poco, perché, come hai scritto tu, il passaggio dalla parte del giusto può avvenire o negoziando o spostando l’equilibrio di potere verso di noi, cioè in modo “violento”/non-dialogico. In effetti questa seconda possibilità non è esclusa. Pensa proprio a come agiscono gli animalisti. Entrano negli stabulari, distruggono il risultato di faticose ricerche e il tutto alla faccia di chi vuole dialogare. Questo non è “dialogo”, ma violenza. E paradossalmente, a vedere come stanno andando le cose dal punto di vista legislativo, gli stanno dando pure ragione. Certo, non va sempre così per fortuna. Ma può andare anche così e bisogna far presente questo aspetto. A questo rischio restiamo sempre esposti, che poi (dopo tutto questo giro) era quello da cui ero partito 🙂 In generale, mi spaventa che nella collettività etica non è detto che tutti impostino il confronto su basi razionali, ma facciano anche entrare in campo anche pratiche persuasorie violente o tese alla mistificazione.

2) Sì il punto 2 esulava un po’, ma volevo capire se la tua etica apporta qualcosa in campo soggettivo. Mi sembra di no.

8 09 2013
lostranoanello

Eh, ma inutile discutere su quello su cui non hai potere… Se dovessero vincere gli animalisti, vinceranno gli animalisti. Chiediamoci piuttosto come agiremo noi in quel caso 🙂

8 09 2013
Francesco

Whereas the latter two observations point to original insights for moral theorists, we cannot avoid mentioning some of the criticisms that have been formulated against the application of game theory to ethics. The most fundamental ones concern the implicit anthropology of the rational agent. The question is whether everything that is relevant for moral theory about the agent can be captured by the rather one-dimensional picture of rational man as proposed by game theory. The agent is supposed to be completely characterized by his preference rankings over outcomes and his beliefs at each stage of the game. However, morally important distinctions—e.g., between differences in character—have no place in this characterization.

Per carità, non dico non sia una teoria utile alla comprensione del comportamento umano e alla formulazione di massime utili, ma, come dici anche tu, non funziona in ogni caso.

8 09 2013
lostranoanello

Questo è un limite descrittivo, e che resta anche un po’ superficiale. L’individuo può non essere perfettamente razionale, ma per definizione gli conviene esserlo 🙂
Peraltro il concetto di convenienza può essere modificato ricordandosi di inserire una serie di variabili date per scontate: se io amo gli animali, aiutare gli animali per me è conveniente, ad esempio…

8 09 2013
Francesco

Ci sono critiche persino all’approccio evoluzionista, che, come dice il lemma, molti autori hanno adottato allo scopo di evitare le critiche mosse agli altri due.

8 09 2013
Francesco

Per questo, tra l’altro, ti chiesi a quale applicazione della game theory ti rifai, dato che ognuna ha aspetti differenti e critiche differenti.

8 09 2013
lostranoanello

Contrattualismo con norme vincolanti.

8 09 2013
Francesco

All’individuo conviene essere razionale, ma non sempre lo è. Per di più, può accadere che un individuo agisca credendo di essere razionale, ma in realtà agisca incosapevolmente in modo non razionale o in modo paralogistico (non mi sembra una cosa così rara).

Ok, inseriamo altri parametri…ma quanti e quali?

Comunque c’era un paragrafo dedicato alla critica alle posizioni contrattualiste, che però sembrano orami già inglobate dalle eccezzioni alla teoria che ormai tu hai già ammesso, ossia che la contrattazione avvenga anche su basi non prettamente dialogico-razionali.

8 09 2013
Francesco

Aggiungo che comunque credo siamo giunti al termine della discussione. Il mio punto di partenza era come giustificavi i diritti degli esseri umani esclusi dal dibattito etico (es. i bambini). Da ciò che hai detto mi sembra sia chiaro che tu tu su basi soggettive e che saranno chiare a te (ma sarebbe bello capire perché) ritieni vantaggioso tutelarli. Ma poi il discorso si sposta sul piano collettivo e qui, nel caso la collettività si esprimesse a sfavore della tutela dei bambini, tu continueresti a difendere i loro diritti, ma comunque consideresti «giusto» (nel senso che gli dai tu) quanto stabilito dal contratto collettivo. Se è così, concordo con la tua logicità e non mi fa problema. Resterei stupito se mi dicessi che no, sarebbe «sbagliato» a prescindere da ciò che la collettivtà etica decidesse… Mi aspettavo questo all’inizio, anche perché ovviamente non mi era chiaro tutto il quadro del tuo sistema 🙂 Mi dispiace averti trascinato fino a qui, ma temevo di trovarmi di fronte al solito utilitarista che, impantanandosi davanti a prospettive socialmente poco accette al giorno d’oggi (tipo sfruttare i bambini), giocasse una delle solite carte jolly (tipo il sentimento morale) e creasses un’eccezione poco plausibile nel tuo stesso sistema.

Devo dire però che mi sembra che il tuo sistema non esclude la possibilità di indagare quali siano le “motivazioni” morali (non dico principi) che guidano le nostre azioni (per esempio la compassione, la ricerca di affetto, il gioco) e cercare di impostare un modo maggiormente razionale e condiviso per impostare le nostre scelte già a livello soggettivo prima che intersoggettivo. Forse questo ci permetterebbe non solo di trovare strategie per essere più felici individualmente, ma anche per evitare gli scontri più violenti in campo intersoggettivo.

8 09 2013
lostranoanello

Quando una legge non mi piace… la rispetto comunque ^^
Però mi adopero per cambiarla. Puoi dire che in effetti io i termini giusto e sbagliato li ho espulsi dal vocabolario 😛

8 09 2013
Francesco

Beh, che dire? Direi che la chiudiamo qui. Concordo con la prospettiva contrattualista e non ho problemi ad accettarne anche le conseguenze estreme. Mi riservo il dubbio sulla presenza di moventi in largo senso “morali” (quindi eludibilissimi) in ogni individuo (ma non voglio dibatterne ora!).
Ti ringrazio per la bella discussione. È stata stimolante e divertente! Ho iniziato a seguire il tuo blog. Auguri per i tuoi studi!

8 09 2013
lostranoanello

Grazie anche a te, alla prossima 🙂

8 09 2013
Francesco

*Da ciò che hai detto mi sembra sia chiaro che tu li tuteli su basi soggettive

8 09 2013
Francesco

Mi sono confuso nel rileggere: ignora l’ultimo commento (cioè questa è la correzione della correzione)

18 09 2016
Dalaila

Ciao io non mi schiero da nessuna parte perché non ho la certezza del fatto che siamo fruttariani o carnivori (io che scrivo sono un essere umano, non una scimmia) comunque volevo dire che anche i bambini, cuccioli di uomo, non hanno un vero senso morale verso ció che li circonda o verso di te, non per questo visto che al momento sono meno intelligenti di te ti verrà da pensare di non ‘fottertene un cazzo’. Un uomo che va a caccia per solo divertimento ad esempio mostra di muoversi nella società come sotto rincoglionimento, non ha di meglio da fare che provare senso piacevole nell’uccidere o a volte pure indifferenza, anche se il senso morale come dici tu non c’entra è mancanza totale di armonia nei confronti della natura, il fatto è che pure nell’uomo ci sono varie gradazioni di intelligenza, fai conto che alcuni nascono pure con handicap mentali (questo ovunque ma presumibilmente la madre li elimina alla nascita, qua girano liberi mi riferisco a quelli che danneggiano non a quelli che pur non capendo si fanno i fatti loro), o dove l’intelligenza potrebbe comunque esserci è assopita e rincoglionita da condizionamenti indotti da altri idioti nel proprio ambiente, appunto che è anche difficile vedere altri animali uccidersi fra loro della stessa specie, alcuni esseri umani hanno un po’ perso il lume quindi non mi stupiscano se non siano nemmeno in grado di capire cosa hanno voglia di mangiare, ti basta vedere gli obesi che mangiano continuamente senza motivo, trovassero cose che li saziano invece di continuare a mangiare le solite porcherie che innalzano la glicemia e ti fanno venir fame…ciao

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